Cinque giorni di viaggio in bici dal lago di Garda ai piedi delle Alpi occidentali. L'avvicinamento all'evento di IMBA è stato un solco tracciato sotto pioggia e vento, ma ancora una volta mi ha regalato il piacere dell'avventura, della condivisione e dell'esplorazione di nuovi territori.

In questo articolo
- Pre-viaggio
- Giorno 1 – Da Peschiera a Motta Baluffi: tra argini, pioggia e argilla
- Giorno 2 – L’argilla e la pianura
- Giorno 3 – Da Spessa a Casale Monferrato: il respiro lungo della pianura
- Giorno 4 – Ritorno al fiume e ingresso a Torino
- Giorno 5 – Verso Pinerolo: l’ultimo atto
- Cosa resta dopo 500 chilometri
Pre-viaggio
Luca: "Ciao Leo, a ottobre organizziamo il Gathering del decennale di IMBA Italia, che ne dici se ci andassimo in bici?"
Io: "Ma dai, bello... in che zona del Trentino lo fate? Non ho un grande allenamento..."
Luca: "A San Secondo di Pinerolo, Torino! 600 km circa"
Io: "Ah!"
È nato così il Road 2 IMBA Gathering 2025, durante un giretto in MTB con l'amico e vice-presidente dell'associazione che mi ha coinvolto in questa piccola/grande follia di fine stagione. In un weekend di fine ottobre si è tenuto il quinto raduno dell'International Mountain Bike Association Italia a San Secondo di Pinerolo, ma fin lì siamo arrivati in sella ai nostri cavalli d'acciaio.
Alla fine abbiamo pedalato in cinque giorni da Peschiera del Garda al castello di Miradolo, circa 500 km tra Lombardia e Piemonte.
Siamo partiti in tre: io, Luca e Roberto.

Giorno 1 – Da Peschiera a Motta Baluffi: tra argini, pioggia e argilla
Il primo tratto è un classico intramontabile: la ciclabile del Mincio. Una delle più conosciute d’Italia per semplicità e fascino. Segue fedelmente il corso del fiume, tra campi, pioppeti e piccoli centri rurali. Le ruote scorrevano leggere, il ritmo era quello perfetto dei primi chilometri, quando le gambe hanno voglia di girare ma non ancora di spingere. Conoscendo la ciclabile abbiamo preferito seguire qualche alternativa più avventurosa e fare alcuni detour su gravel road e sentieri delle colline moreniche, senza mai allontanarci troppo dal fiume.


Passato Borghetto sul Mincio, siamo infine giunti a Mantova. Il lago, al mattino, era una lastra grigia, rifletteva un cielo ancora indeciso sul da farsi. L’aria sapeva di umido e di foglie bagnate, l’odore tipico dell’autunno in pianura.

Poche città in Italia riescono a essere così fotogeniche da ogni angolazione. Mantova è un piccolo gioiello rinascimentale, sospeso tra palazzi, ponti e acqua. Ripartire non è mai facile da lì, ma dopo il pranzo in una gastronomia superaffollata di lavoratori, la strada ci ha richiamato a sé. Passato il palazzo Té, ci siamo infilati su un percorso ciclabile fatto di strade secondarie e tratti sterrati.

Nel pomeriggio abbiamo così raggiunto Sabbioneta, una delle “città ideali” del Rinascimento e patrimonio UNESCO. È un luogo che sembra uscito da un modellino: tutto proporzionato, armonico, perfetto nella sua geometria.


Qui l’aria odorava di fumo di legna e di pioggia in arrivo. E la pioggia, puntuale, è arrivata. Non una pioggerellina qualsiasi, ma un vero diluvio biblico.
I campi si sono trasformati in pantani e ogni sterrato è diventato un piccolo torrente. Abbiamo continuato a pedalare, ridendo e imprecando a intermittenza, fino a Motta Baluffi, prima tappa del viaggio. L’arrivo, fradici e infangati, è stato quasi eroico. Ma quella sensazione di fatica condivisa, di aver “portato a casa” la giornata nonostante tutto, è ciò che rende i viaggi in bici così diversi da un qualsiasi viaggio ontheroad.

Giorno 2 – L’argilla e la pianura
La mattina dopo, il meteo non prometteva nulla di buono. Il terreno era un misto di fango e argilla: quella materia vischiosa che si attacca ai copertoni come colla e ti obbliga a scendere e spingere. Ogni metro era una lotta. Ci siamo impantanati, letteralmente, dopo 100 m di offroad.
Le bici pesavano il doppio, le scarpe si riempivano di fango fino alle caviglie. Ritrovato l'argine del grande fiume, ci siamo liberati del fango e abbiamo ritrovato il ritmo giusto. I canali, i filari di pioppi e i campanili lontani sembravano disegnare una linea guida invisibile verso ovest.

A Cremona siamo arrivati stanchi ma felici. La città, con le sue piazze armoniose e la maestosa torre del Torrazzo, è uno di quei luoghi che meritano sempre una sosta.
Abbiamo evitato di attraversare il centro storico, perdendoci quell’atmosfera tranquilla da provincia lombarda che sa di liuterie, biciclette e silenzio, per proseguire lungo il Po. Da lì, puntando a nord, abbiamo raggiunto la foce dell’Adda, un fiume dal carattere diverso: più selvaggio, più incassato. Abbiamo seguito a ritroso la ciclovia dell'Adda che parte dalle Alpi, fino a Maleo, per poi deviare di nuovo verso il Po.

La sera siamo arrivati a Spessa, un minuscolo paese dove il tempo sembra fermo. Una doccia calda, un piatto abbondante e una birra hanno rimesso insieme corpo e spirito.
Giorno 3 – Da Spessa a Casale Monferrato: il respiro lungo della pianura
Il terzo giorno è stato quello della resistenza mentale. Quando viaggi in bici per più giorni, c’è sempre quel momento in cui la fatica accumulata comincia a bussare. Le gambe girano ancora, ma il corpo chiede tregua. Noi abbiamo risposto continuando a pedalare, come si fa sempre: con la testa.

L’ingresso a Pavia è stato un piccolo shock. Dopo tanta campagna, ritrovarsi nel traffico cittadino, tra il Naviglio Pavese, ponti e studenti universitari, è stato come tornare per un attimo alla vita normale. Ma attraversare la città da nord a sud, passando sul ponte coperto sul Ticino, è stato anche emozionante. E poi nel mezzo c'è stato l'incontro con Stefano, tanto fugace quanto intenso, con un caffè condiviso e un rapido racconto della sua città che mi sono ripromesso di tornare a visitare con più calma.

Quel ponte, con le sue arcate e il fiume che scorre lento sotto, è un simbolo: un passaggio da una parte all’altra della pianura, quasi una soglia tra Lombardia e Piemonte.
Oltre Pavia, la pianura è tornata a dominare. Infinite distese di campi arati, qualche cascina isolata, strade bianche che sembrano non finire mai. L’autunno colorava tutto di giallo, ruggine e marrone. Le nuvole correvano basse, tagliate dal vento.


Quando il sole ha cominciato a calare, davanti a noi è comparsa Casale Monferrato. L’arrivo al tramonto, con il fiume Po che rifletteva la poca luce arancione tra le nubi, è stato uno dei momenti più belli del viaggio. Ci siamo concessi una birra come aperitivo ai piedi della salita, al bar del mercato, osservando la vita che scorreva lenta intorno a noi. Ma la giornata non era ancora finita: da Casale abbiamo affrontato una salita ripida verso Treville, piccolo borgo appoggiato su una collina di vigneti ingialliti. Il paesaggio era puro Monferrato: colline dolci, filari ordinati e un silenzio pieno di storie.



Giorno 4 – Ritorno al fiume e ingresso a Torino
La mattina dopo il cielo non dava tregua. Nuvole basse, grigie, e ancora pioggia. Quell’autunno aveva deciso di metterci alla prova fino in fondo. Abbiamo quindi scelto di tornare lungo il Po, preferendo la sicurezza dei suoi argini ai continui saliscendi delle colline. Una scelta di saggezza, più che di coraggio.


Il fiume, anche con il maltempo, aveva un fascino ipnotico. I rami trascinati dalla corrente, gli aironi immobili sulla riva, i silenzi interrotti solo dal rumore delle gomme sulla ghiaia bagnata. L’ingresso a Torino è stato maestoso. Le prime periferie, i viali alberati, e poi all’improvviso il fiume che si allarga, le colline a est, e la Mole Antonelliana che si staglia in lontananza come un faro urbano.


Il vento gelido che soffiava dal Monviso ha spazzato via le ultime nuvole, regalandoci finalmente un cielo terso. Torino in autunno è una città elegante e malinconica, perfetta da attraversare in bici. I parchi, i portici, le piazze sembrano costruiti apposta per chi ama muoversi lentamente.
Giorno 5 – Verso Pinerolo: l’ultimo atto
L’ultima giornata è stata quasi una passerella. Dopo tanta pianura, la vista delle montagne ha risvegliato energie nuove. Il sole era tornato e con lui un’aria limpida che rendeva tutto più nitido.

Siamo passati davanti alla Palazzina di caccia di Stupinigi, uno dei capolavori barocchi più spettacolari del Piemonte. Le curve della strada, le foglie dorate e il profilo della palazzina sullo sfondo hanno reso quel tratto uno dei più suggestivi del viaggio.

Da lì, continuando verso sud-ovest, siamo arrivati al Castello di Miradolo, dove si sarebbe tenuto l’IMBA Gathering, un raduno di appassionati di mountain bike e ciclismo lento. Lì abbiamo ritrovato altri ciclisti, ognuno con la propria storia, la propria strada percorsa per arrivare fin lì. È stato come chiudere un cerchio: dal silenzio dei campi padani al vociare allegro dei biker radunati sotto lo stesso tetto.

Cosa resta dopo 500 chilometri
Un viaggio del genere non è solo una somma di tappe e chilometri. È un modo per leggere il territorio, per capirlo attraverso le sue sfumature, i suoi profumi, le sue strade secondarie.
La Pianura Padana, spesso percepita come piatta e monotona, in realtà si rivela piena di contrasti: la geometria perfetta dei canali, i paesaggi agricoli che cambiano colore con la luce, le città d’arte che spuntano come isole tra i campi, i piccoli paesi che vivono ancora un ritmo lento.

La bici ti mette nella condizione ideale per vivere tutto questo. Ti obbliga a rallentare, ad ascoltare i suoni, a percepire i dettagli. Ti fa sentire parte del paesaggio, non semplice spettatore.
Ogni giorno è stato diverso: la calma della ciclabile del Mincio, la pioggia battente tra Sabbioneta e Motta Baluffi, le argille che si incollavano ai copertoni, il traffico di Pavia, il silenzio del Po, le luci di Torino al tramonto.
Tutto si è mescolato in un’esperienza che è andata oltre il semplice pedalare. E poi c’è il tema della compagnia. Condividere un viaggio così con amici vecchi e nuovi rende tutto più leggero, gestibile. Le risate, i momenti di sconforto, le birre a fine tappa, le foto sotto la pioggia: sono le cose che, a distanza di tempo, restano impresse più dei chilometri o delle altimetrie.
Un viaggio facile, ma non banale
Spesso si pensa che un percorso pianeggiante sia “facile”. In parte è vero: non ci sono grandi dislivelli, le strade scorrono lineari, i chilometri si macinano senza troppi ostacoli.
Ma la pianura ha le sue difficoltà sottili. Il vento contrario, la monotonia di certi tratti, la necessità di trovare punti di interesse lungo la via. E poi, in autunno, c’è la variabile del tempo: la pioggia, il freddo, la luce che cala presto.
Questo viaggio, da Peschiera del Garda a Pinerolo, può essere un ottimo itinerario per chi vuole affrontare il suo primo viaggio di più giorni in bici.

Si pedala quasi sempre su strade tranquille o ciclabili, con tante possibilità di fermarsi in città ricche di storia e cultura. La logistica è semplice: ogni 20-30 km si trovano facilmente alloggi, supermercati, trattorie, bar di paese dove fermarsi per una pausa o un pranzo.
Chi volesse replicarlo può pianificarlo in 5-6 giorni, a seconda del ritmo e del tipo di bici.
Le stagioni e i colori
Noi lo abbiamo fatto in autunno, e forse è stata la scelta migliore. Le colline del Monferrato, in questa stagione, sono un mosaico di colori caldi; i pioppi lungo il Po diventano dorati; i cieli bassi e carichi di pioggia danno un tono quasi cinematografico ai paesaggi. Ma anche in primavera il percorso deve essere splendido, con i campi in fiore e le giornate più lunghe.
L’inverno, invece, è per chi ama il silenzio assoluto e non teme il freddo: le strade sono deserte e la pianura si svuota, diventando quasi irreale.

La filosofia del viaggio lento
Alla fine, quello che resta è la consapevolezza che viaggiare in bici non è solo spostarsi: è abitare i luoghi.
Ogni chilometro ti insegna qualcosa, ogni incontro ti cambia un po’. Ci sono viaggi più epici, con salite e panorami mozzafiato, ma anche viaggi semplici come questo riescono a farti sentire vicino all’anima del territorio.

E quando, dopo giorni di pedalate, arrivi a destinazione e ti guardi indietro, capisci che non sei più lo stesso di quando sei partito. Hai attraversato l’Italia lentamente, hai respirato la sua umidità, ascoltato il rumore del vento nei pioppi, parlato con chi vive lungo i fiumi. Hai visto un pezzo d’Italia autentico, quello che si mostra solo a chi ha la pazienza di scoprirlo piano, al ritmo delle proprie gambe.

Conclusione
Cinquecento chilometri dal Garda a Pinerolo non sono un’impresa sportiva, ma un viaggio che ti sveste. Ti toglie esigenze, necessità, facendoti ritornare all'essenziale. Un invito a riscoprire la semplicità del pedalare, il piacere di fermarsi in una piazza sconosciuta, di bere un caffè in un bar di paese e di osservare il mondo che scorre.
























Ultimi commenti
Community