Certe volte basta davvero poco per ritrovare quel mix perfetto di fatica, panorami e adrenalina che ti fa dire: “ok, ne è valsa la pena”. Questo percorso gravel sull’Alto Garda è esattamente così. Breve sulla carta, intenso nella sostanza, con dentro un po’ di tutto: salite che scaldano le gambe, sterrati che profumano di bosco, discese che tengono alta l’attenzione e viste che, anche se pensi di conoscere il Garda a memoria, riescono comunque a sorprenderti.
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Se ami pedalare tutto l’anno, inverno compreso, questo giro è uno di quelli da segnare soprattutto in questi ultimi inverni meno nevosi. Non è il classico anello rilassante da lago con pista ciclabile e gelato finale (anche se il gelato, volendo, lo puoi sempre aggiungere dopo). Qui si parla di MTB con salite e discese vere, soprattutto nella parte finale della picchiata su Massone. Nulla di estremo, ma serve un minimo di dimestichezza con il mezzo e con i terreni smossi.
Si parte da Drena, tra storia e silenzio
La partenza è da Drena, un paesino che molti attraversano di fretta senza fermarsi davvero. Ed è un peccato, perché il castello medievale che domina l’abitato merita una visita anche solo per il colpo d’occhio. Arrivare qui al mattino presto, magari in inverno, ha qualcosa di speciale: poche macchine, aria frizzante, silenzio rotto solo dai primi colpi di pedale e dal rumore delle gomme sull’asfalto.
Da subito il percorso non lascia spazio a grandi riscaldamenti. Attraversato il centro abitato infatti si imbocca la strada in direzione Braila.
La salita inizia quasi immediatamente ed è lunga, costante, di quelle che ti costringono a trovare il tuo ritmo e tenerlo. Non ci sono strappi cattivi, ma nemmeno tratti dove rilassarsi troppo. È una salita che si fa sentire, soprattutto se la affronti a freddo, ma ha il pregio di essere regolare e pedalabile. Noi con le e-bike non facciamo troppa fatica nemmeno salendo al risparmio.
Si sale su asfalto fino a raggiungere la località Braila.

Dall’asfalto allo sterrato: si entra nel bosco
A Braila imbocchi finalmente lo sterrato deviando poco prima della frazione a sinistra. La strada si stringe, il fondo diventa più ruvido e iniziano i tornanti che salgono nel bosco sulle pendici orientali del monte Stivo. Questo è uno di quei tratti che, se ami il gravel, ti fanno sorridere sotto il casco. Pendenza giusta, fondo generalmente buono (stagione permettendo perché faggi e castagni lasciano parecchie foglie sul terreno) e quell’atmosfera ovattata che solo il bosco sa regalare.
In inverno o a fine autunno, come detto, qui trovi spesso foglie, umidità e qualche tratto più viscido, quindi conviene dosare bene le energie, non forzare troppo e fare attenzione. Le gomme giuste fanno la differenza: una sezione generosa e un minimo di tassello ti aiutano a pedalare sereno senza dover continuamente correggere la traiettoria. Salendo, ogni tanto il bosco si apre e ti regala scorci che valgono tutta la fatica.

C’è un punto panoramico in particolare che merita una sosta: si devia dal percorso principale tenendo la sinistra a un tornante per raggiungere il Belvedere Caproni, che noi manchiamo perché il sentiero d'accesso è eccessivamente pieno di foglie e non ne vediamo la conclusione. Ci rifaremo più in alto, allo scollimanento, con panorami che spaziano sul lago di Cavedine verso nord e dall’altro il Garda che appare più lontano, incorniciato dalle montagne. All’orizzonte, il Carè Alto sembra fare la guardia a tutto questo scenario, immobile e maestoso.

Natura vera, senza filtri
Uno degli aspetti che più colpisce di questo giro è la sensazione di essere davvero in un ambiente selvaggio, nonostante la vicinanza al lago e a zone molto frequentate.
Qui la natura è protagonista e te lo ricorda in modo molto diretto. Durante il giro, nel punto più alto e all'ombra dove un po' di neve si è fermata e ghiacciata, scorgiamo sul manto delle impronte, grandi e possenti. Segni chiari che non siamo soli. In queste zone anche grandi carnivori come gli orsi sono di casa.
Non è qualcosa che deve spaventare, si deve porre più attenzione, in fondo stai pedalando in montagna, in un ambiente che non è addomesticato e perlomeno io ci vado proprio per questo motivo. È una sensazione che personalmente trovo bellissima, perché ti riporta a un rapporto più autentico con il territorio. Ovviamente, come sempre, vale la regola del buon senso: fai rumore, evita di uscire dai sentieri, rispetta l’ambiente e chi lo abita, umano o animale che sia.
Secondo i dati del CNSAS, Soccorso Alpino in montagna nel 2024 sono morte 466 persone e 12000 circa sono state soccorse e il dato è in leggero calo rispetto agli anni precedenti. I grandi carnivori in Italia hanno causato la morte di 1 persona nel 2023 e questo risulta l'unico attacco mortale documentato da 150 anni da parte di lupi e orsi.

Verso il monte Velo e l’inizio della discesa
Continuando a salire si raggiunge abbastanza presto la zona del monte Velo. L'ambiente è selvatico e la strada molto piacevole, con la roccia a proteggere e a riverberare i raggi solari scaldandoci.

Qui cambia di nuovo tutto, perché si inizia a pensare alla discesa. Ci sono delle alternative: proseguendo dritti in località Schivazappa si raggiunge il rifugio Monte Velo da dove si può imboccare la discesa asfaltata che scende a Bolognano. Questa è un'ottima alternativa anche se vuoi fare questo percorso in gravel.
Deviando invece a destra, sempre in località Schivazappa, si trova il sentiero 609 SAT, conosciuto come “The Hammer” ma purtroppo oggi VIETATO alle bici. Scendendo dalla strada si trova di nuovo un tratto di sentiero al sesto tornante e lì lo si può imboccare non essendo presente alcun divieto.

Il fondo è tecnico, la pendenza si fa sentire e serve attenzione, concentrazione e una buona gestione dei freni soprattutto in questo periodo dell'anno in cui le foglie nascondono tutte le insidie che si trovano sotto di loro. Se non ti senti a tuo agio su sentieri di questo tipo, nessun problema: il percorso offre la sempre valida alternativa della strada provinciale 48 del passo Santa Barbara, che scende fino a Bolognano.
Questa flessibilità è uno dei grandi punti di forza del giro, perché lo rende adattabile a diversi livelli di esperienza e tipologie di mezzo.
Arco, le cave di oolite e l’arte dell’arrampicata
In fondo alla discesa si entra in un ambiente che rispecchia già il clima del lago. Uliveti e muretti a secco ci conducono sui pendii tra Bolognano e Massone, con la rocca di Arco sormontata dal castello che ci accompagnano in questo breve tratto pianeggiante.
Si raggiunge Massone, dove si torna a pedalare su strada. Qui la fatica non è finita, anzi. C’è ancora da salire, ma è una salita diversa, più breve e meno impegnativa rispetto alla prima parte. Si risale in direzione delle cave di oolite, un luogo davvero affascinante. Con una breve deviazione puoi fermarti a osservare gli arrampicatori all’opera sulle pareti. È uno di quei momenti che spezzano il ritmo del giro e lo arricchiscono, aggiungendo un elemento culturale e sportivo diverso dal solito.
Vedere chi arrampica, concentrato e sospeso nel vuoto, mentre tu sei lì con la bici appoggiata a un muretto, crea sempre una bella connessione tra mondi outdoor diversi ma molto affini.

L’ultima fatica e il rientro a Drena
Tornato sulla strada, ti aspetta l’ultima vera fatica della giornata: la risalita verso Braila. Le gambe a questo punto sono già belle cotte e la salita si sente tutta. È uno di quei momenti in cui devi stringere i denti, trovare il tuo passo e non pensare troppo a quanto manca. Si attraversano prati di castagni secolari. La buona notizia è che sai cosa ti aspetta dopo.

Una volta raggiunta di nuovo Braila, il giro si chiude in bellezza con un ultimo sentiero che ti riporta verso Drena. Un tratto divertente, meno impegnativo della discesa precedente, perfetto per sciogliere le gambe e goderti gli ultimi chilometri senza troppa pressione. Rientrare a Drena dopo un giro così dà sempre una grande soddisfazione
























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