È appena uscita la seconda puntata del podcast di viaggi in bici di Life in Travel: i Velocipedisti, in cui ti racconto le gesta dei nostri antenati, coloro che per primi si spinsero oltre i propri limiti per esplorare il mondo in sella a una bicicletta.
In questo articolo
- I Velocipedisti, il podcast dedicato ai pionieri del cicloturismo
- Frank Lenz: il ciclista perduto
- L'infanzia, l'ispirazione di Outing e il primo biciclo
- I primi viaggi in Pennsylvania e negli States
- La passione per la fotografia
- I viaggi con la fotocamera
- Con l'amico Charlie Petticord
- I preparativi per il grande viaggio
- Safety bike, cos'è questo nuovo mezzo?
- Maggio 1892: i primi chilometri del giro del mondo in bici
- Partenza ufficiale e coast to coast negli Stati Uniti verso ovest
- Le Hawaii e il Giappone
- L'impero cinese: una sfida impossibile?
- Dalla Birmania all'Iran attraverso le colonie inglesi
- Le ultime notizie prima della scomparsa
- I dubbi sulla sua fine
- La ricerca di Sachtleben
La seconda puntata de I Velocipedisti è dedicata a un cicloviaggiatore che non completò mai il più grande viaggio della sua vita. Il ciclista perduto, Franz Lenz, partì nel 1892 dagli Stati Uniti per seguire le gesta di Thomas Stevens che aveva completato il giro del mondo in biciclo qualche anno prima, ma di lui si persero le tracce in Turchia, tra le lande dell'Anatolia orientale...
I Velocipedisti, il podcast dedicato ai pionieri del cicloturismo
Viaggio in bici dal secolo scorso e negli ultimi 20 anni sono stato testimone e ho descritto la rivoluzione a pedali che ha messo in sella decine di migliaia di cicloviaggiatori in Italia e nel mondo.
In questo podcast rendo omaggio ai nostri antenati e ti racconto le loro storie, perché con coraggio e un pizzico di follia, si sono spinti oltre i loro limiti e hanno esplorato gli angoli più remoti della Terra facendo in modo che noi potessimo seguire le loro orme.
I Velocipedisti è un podcast di Life in Travel, ideato, scritto, e narrato da me
Frank Lenz: il ciclista perduto
Maggio 1894.
Erzurum è l’ultima provincia nell’estremo oriente dell’impero ottomano che sta lentamente sfaldandosi e qualcuno lì sta andando incontro al suo destino.
Un giovane americano si trova in un piccolo paesino kurdo. Viene scambiato per russo, insultato. Il capo villaggio lo accusa di essere una spia.
Ne nasce una discussione: Frank, questo il suo nome, non è uno che si lascia mettere i piedi in testa facilmente. Le sue umili origini e l’infanzia difficile l’hanno fatto crescere con una corazza dura da scalfire.
Reagisce.
Insulta il kurdo, lo prende a male parole e se ne va per la sua strada, verso il fiume.
L’onore del capo villaggio è offeso, ferito. Per di più da una spia russa. Qualcosa si deve fare e allora gli uomini del paese più inclini al conflitto si mettono d’accordo e seguono il fuggitivo. Il capo ha con sé una rivoltella.
Spara e lo uccide sul colpo.
Poi insieme decidono di sbarazzarsi del corpo, scavano una buca e lo seppelliscono in riva al fiume.
Non sapremo mai se quella che ho narrato sia la realtà oppure no. Il corpo del giovane non è mai stato ritrovato e ancora oggi ufficialmente è dato per disperso, ma questa è la versione più verosimile di quanto possa essere successo a colui che, suo malgrado, è passato alla storia come ‘Il ciclista perduto’.
Questa definizione è in realtà recente, presa in prestito dal titolo del libro del 2010 di David V. Herlihy
Prima di allora Frank George Lenz era un personaggio caduto nel dimenticatoio per decenni, dopo essere stato uno dei pionieri del cicloturismo nel mondo.
Sì, perché nel maggio 1894 Lenz era arrivato in provincia di Erzurum, attuale capoluogo della regione dell’Anatolia orientale in Turchia, dopo aver attraversato gran parte del globo in sella a una safety bike, la nuovissima invenzione di quegli anni.

L'infanzia, l'ispirazione di Outing e il primo biciclo
Ma arriveremo anche a questo, però facciamo un passo indietro.
Frank George Lenz nacque a Philadelphia, Pennsylvania, nel 1867, da Adam Reinhart e Anna Maria Schritz.
E qui, se hai fatto attenzione, ti sarai accorto che nemmeno uno dei due genitori, poveri emigrati tedeschi, portava il cognome di Frank. Il motivo è presto detto: Adam, il padre, morì quando il nostro protagonista era ancora un piccolo inconsapevole futuro cicloviaggiatore e la madre fu costretta a trasferirsi a Pittsburgh in cerca di lavoro.
Anna Maria, più per necessità che per amore, sposò un certo William Lenz e così, quando aveva sei anni Frank assunse il cognome del dispotico patrigno con cui non andrà mai d’accordo.
La vita di Frank si incanala su dei binari piuttosto classici: da adolescente acquisisce competenze contabili e riesce a farsi assumere presso un produttore di ottone.
In quegli anni il giovane di Pittsburg divenne un assiduo lettore della rivista Outing.
Dal 1884 a quella rivista mandava costantemente i propri resoconti anche un tale Thomas Stevens, di cui trovi la storia qui. Stevens, nel 1887, fu il primo uomo a completare il giro del mondo in bicicletta, o meglio, con un biciclo, mezzo che andava per la maggiore in quel periodo.
Il giovanissimo Lenz, leggendo i racconti di Stevens, iniziò a sognare terre esotiche e avventure strabilianti, così non esitò un istante a investire i primi soldi guadagnati nell’acquisto di una Columbia roadster con ruota da 56 pollici.

I primi viaggi in Pennsylvania e negli States
Dopo essersi unito all’Allegheny cycle club e aver iniziato a esplorare le strade di campagna della Pennsylvania nel 1887 affronta la sua prima grande avventura, una corsa di 100 miglia da Pittsburgh a Newcastle e ritorno. Al rientro, a mezzanotte, dovette subire le vigorose proteste della madre, preoccupata per quel figlio spericolato che girava per le strade del paese in sella a quel mezzo diabolico.
La voglia di rincorrere la libertà che solo la bicicletta può regalare era però incontenibile e Frank due mesi dopo si spinse fino a New York city in quello che fu il suo primo tour di lunga distanza.
Le fughe di Lenz iniziano a far scalpore. Nei primi due anni percorre oltre 6500 chilometri, più di qualsiasi altro ciclista della Pennsylvania e rischia di vincere anche una delle competizioni a cui partecipa. Alla Erie-Buffalo infatti arriva secondo sotto un diluvio torrenziale.
La passione per la fotografia
Lenz è un giovane curioso e si interessa a tutte le innovazioni tecnologiche dell’epoca.
Oltre alla bicicletta inizia ad appassionarsi a un altro hobby di recente popolarità: la fotografia.
Nata nel 1826, o forse nel 1827, sulla data non v’è certezza, con lo scatto di Joseph Nicéphore Niépce (letto giosef nisefor nieps) “Veduta della finestra a Le Gras”, la fotografia si sviluppa come arte parallela alla pittura per rappresentare il paesaggio prima e la vita mondana della borghesia del XIX secolo poi.
Negli anni in cui Lenz pedala in Pennsylvania ormai la fotografia ha iniziato a diventare anche uno strumento di cronaca e sta dando un grande contributo alla diffusione e all’evoluzione del giornalismo.
Il piccolo ciclista si rende presto conto che la sua bassa statura, era alto 1.60 m, gli impedisce di competere ad alti livelli con i più prestanti pedalatori che devono cavalcare ruote da un metro e mezzo e così si concentra sempre di più sulla documentazione degli eventi a cui partecipa. Un giornale locale scrive:
"Lenz ha creato un certo scalpore domenica scorsa, quando si è presentato in Forbes Street con una grande macchina fotografica e un treppiede legato alla schiena. L'attrezzatura trasporta un carico considerevole, ma Lenz pensa di essere all'altezza del compito."

I viaggi con la fotocamera
Frank è così convinto di essere all’altezza del compito che nell’estate del 1889 ripete il viaggio di andata e ritorno fino a New York, questa volta con una macchina fotografica al seguito con cui scatta in tre settimane circa 150 foto.
Tieni presente che la fotocamera Blair con cui viaggiava era in gran parte realizzata in legno e veniva custodita in una valigia del peso di 5 chili.
Tra l’altro funzionava a lastre di vetro, grandi ognuna più o meno come un foglio A4. Per questo motivo ogni 10-12 esposizioni, Lenz doveva spedire le lastre a casa e rifornirsi di altre: insomma, l’impegno richiesto era più o meno come quello che richiedono oggi i nostri scatti con lo smartphone.
Tra l’altro Eastman, un imprenditore dell’epoca, aveva da poco lanciato un prodotto con lo slogan: “Tu premi il pulsante, noi facciamo il resto”.
Si trattava della prima macchina fotografica dell’azienda, la kodak, a scatola con obiettivo a fuoco fisso e senza mirino. Eastman fino ad allora aveva prodotto proprio supporti di sviluppo come lastre a secco in vetro ma negli anni ‘80 di quel secolo aveva sviluppato anche un supporto di pellicola a rullo molto più pratico, a base di celluloide.
L’introduzione della Kodak avrebbe rivoluzionato il mondo della fotografia e aperto la porta anche agli amatori ma Lenz non era convinto della qualità di quel prodotto e resterà fedele alla sua vecchia attrezzatura per tutta la sua breve vita.
Il passaggio del fotografo-ciclista in ogni caso generava scalpore e ogni volta che doveva impostare un set fotografico, si creava un piccolo capannello di persone e la gente del posto "lo scambiava per un venditore ambulante, un batterista e un ciarlatano", come scriveva un giornale dell’epoca.

Con l'amico Charlie Petticord
Nei mesi invernali Lenz continuò a pedalare e fu in questo periodo che incontrò un grande amico, appassionato ciclista, che lo avrebbe accompagnato nelle sue prossime avventure: Charlie Petticord. A differenza di Frank, Charlie era alto e magro e aveva un’ottima resistenza, tale da poter stare al passo con il suo nuovo compagno di pedalate.
Nell’estate del 1890 i due si imbarcarono in un viaggio lungo la National Pike, da Pittsburgh a St. Louis, lungo quello che in realtà all’epoca era poco più di un sentiero sterrato.
L’agosto successivo, nel 1891, Lenz e Petticord, sempre con il biciclo e la macchina fotografica al seguito, coprirono la distanza di 1000 miglia che separa la loro città di residenza da New Orleans in meno di un mese.
Le loro avventure non restano sconosciute e la League of American Wheelmen, l'organizzazione nazionale di ciclisti di cui facevano parte, prende nota delle loro imprese.
La storia di Lenz prende a correre proprio in quell’anno perché il giovane americano di origini tedesche sente che la vita lo pone di fronte a un bivio: ha 24 anni, la maggior parte dei suoi amici è già sposata e ha figli, la madre e l’amica di lei, Annie Leech, spingono perché anche lui si stabilizzi, trovi una brava ragazza e metta su famiglia. Ma lui sente che il suo destino è un altro.
Sarà che forse anche lui, come molti di noi, presenta una variante specifica del gene DRD4, la 7R. Negli ultimi anni si è scoperto che è sua la “colpa”, è lei ad essere associata alla curiosità, alla propensione alla novità e al desiderio di esplorare. Insomma, è lei che regola la sensibilità agli stimoli e la propensione ai cambiamenti e ci fa venir voglia di partire il prima possibile.
Tornando a Frank, lui ha solo una cosa in testa: vuole un’ultima grande avventura in sella, insieme a Charlie. Sognava di ripetere e superare le gesta di Stevens. I suoi diari lo avevano conquistato e dopo aver divorato i suoi resoconti, ora stava seguendo le gesta di altri due esploratori, Allen e Sachtleben, due americani che avevano lasciato Londra nell'autunno del 1890 e che ora si diceva avessero raggiunto l'Asia.

I preparativi per il grande viaggio
Lenz era oramai un personaggio conosciuto nella comunità ciclistica americana, grazie alle sue fotografie e alle sue imprese, così si decise e scrisse alla rivista di riferimento dell’epoca.
Fu James Worman, il direttore di Outing in persona, a rispondergli. Era pronto a sostenere il suo progetto ma c’era una condizione: avrebbe dovuto compiere il giro del mondo con il nuovo modello che stava soppiantando il biciclo proprio in quegli anni, la safety bike.
Worman sapeva bene che la piccola bicicletta, che stava rapidamente soppiantando la bici a ruote alte, era molto più attraente per il pubblico americano, comprese le donne.
I dubbi si fecero strada in Frank: lui, come la maggior parte dei ciclisti esperti dell’epoca, avevano inizialmente liquidato la piccoletta come troppo bassa, troppo lenta e troppo ingombrante.
Safety bike, cos'è questo nuovo mezzo?
Ma cos’è questa safety bike che viene tanto promossa in quegli anni?
Cos’ha di diverso dal biciclo? Sarà solo una nuova trovata di marketing?
La cosiddetta bici di sicurezza, affettuosamente definita semplicemente “safety”, nasce ufficialmente nel 1876 dalle mani dell’ingegnere inglese Henry Lawson anche se già in precedenza furono prodotti modelli simili.
A differenza del penny-farthing o high wheeler che era il mezzo utilizzato fino ad allora, sulla safety i piedi del velocipedista erano a portata di suolo. Le ruote non erano più così differenti e quella anteriore non era più enorme, permettendo al ciclista di salire e scendere di sella facilmente e senza dover scalare il proprio mezzo.
Le differenze tra il biciclo e la bicicletta di sicurezza non erano però finite qui.
La trazione passava dalla ruota anteriore a quella posteriore. Il modello del '76 funzionava come il biciclo e cioè trasmetteva direttamente la potenza al mozzo della ruota anche se nella safety si trattava di quella posteriore. Ma ben presto, nel 1879, venne introdotto il modello con trasmissione a catena, la novità tecnologica forse più importante della storia della bicicletta.
La trasmissione a catena accoppia un grande pignone anteriore, quello che oggi chiamiamo corona, a un piccolo pignone posteriore. Questa semplice disposizione permette di moltiplicare i giri dei pedali e, di conseguenza, la potenza trasmessa alle ruote. A loro volta perciò la ruota anteriore può essere rimpicciolita, aumentando invece la dimensione di quella posteriore.
Disporre di una ruota anteriore più piccola e di uno sterzo indiretto significava avere anche un mezzo più rigido ma l’introduzione, ben presto, di pneumatici contenenti aria compressa anziché pieni, contrastava questo problema.
Aver spostato il baricentro del ciclista più in basso e al centro del mezzo anziché sopra il mozzo anteriore garantisce anche una riduzione notevole del rischio di cappottamento in fase di frenata, rendendo più facile e sicuro guidare la bici. Proprio per questo motivo negli anni ‘90 ci fu un boom di vendite della bicicletta, anche e soprattutto tra le donne.
Le safety bike di Lawson però non ebbero un gran successo, forse perché erano una novità troppo precoce o forse per il costo molto superiore al penny-farthing. Solo nel 1885 un certo John Kemp Starley portò ad affermarsi nel Regno Unito la bici di sicurezza con un modello chiamato Rover.
Il successo fu tale che Rover divenne in seguito anche il nome dell’azienda di Starley che a fine ‘800 indicò la strada da seguire importando dalla Francia una motocicletta Peugeot per fare esperimenti. Nel 1901 Starley morì ma la compagnia continuò a prosperare con la produzione di motociclette e poi, a partire dal 1904, di automobili. La più conosciuta di sicuro fu la serie Land Rover prodotta dal 1948, tra cui dagli anni ‘70 il modello Range Rover che divenne il più famoso e profittevole dell’azienda.
Ma torniamo alla nostra safety.
Se nel Regno Unito la Rover di Starley spopolava, negli Stati Uniti la prima compagnia che mise in produzione una bici di sicurezza nel 1887 fu la Overman Wheel Company con il modello Victor, il primo interamente in acciaio e senza parti in metallo fuso.
Venuto a conoscenza del progetto di viaggio di Frank, Albert Overman volle supportare il ragazzo e fornirgli la bici di cui aveva bisogno. Fu così che Lenz si mise in viaggio fino al Massachusetts per visitare l’enorme stabilimento di Chicopee Falls dove veniva prodotta la Victor.
Gli operai di Overman realizzarono una bicicletta da 25kg, robusta e su misura, con alcune novità straordinarie per l’epoca come i due pignoni di diverse dimensioni sul mozzo posteriore (flip-flop) e gli pneumatici ad aria compressa di cui abbiamo parlato in precedenza.

Maggio 1892: i primi chilometri del giro del mondo in bici
Lenz trascorre l’inverno tra il ‘91 e il ‘92 a programmare l’itinerario di viaggio.
A differenza di suoi illustri predecessori, decide di affrontare il giro del mondo da est verso ovest. In due anni programma di percorrere 32.000 chilometri attraverso tre continenti per promuovere l’utilizzo e i benefici della bicicletta.
Il 15 maggio 1892, in sella alla sua Victor personalizzata con ruota flip flop e copertone ad aria compressa, parte da Pittsburgh per l’avventura di una vita. Nel frattempo l’amico Charlie Petticord con cui aveva viaggiato l’anno precedente fino a New Orleans si è tirato indietro, complice una promozione sul lavoro che lo ha fatto desistere e così Lenz affronterà questo viaggio da solo.
La madre, Ann Marie, lo saluta incapace di trattenere qualche lacrima, preoccupata per il giovane figlio. Sarà l’ultima volta che lo rivedrà.
In Lenz convivono due anime e se quella del ciclista si è fatta convincere ad abbandonare la sicurezza del biciclo per tentare la fortuna con la nuova safety bike, quella del fotografo resta fedele alla tradizione. Le immagini del viaggio di Allen e Sachtleben accendono la fantasia del nostro cicloviaggiatore ma non convincono l’esigente fotografo che non pare soddisfatto dalla qualità della nuova kodak a pellicola.
Così il giovane americano carica sulla sua bici tutta la pesante attrezzatura fotografica che possiede, per un totale di sette chili. Il resto del bagaglio, tra vestiti, attrezzi e revolver, pesa 11 chili, la bici 24 e con il ciclista arriva a un totale di 113 kg.
Il venticinquenne inizia il viaggio dirigendosi nella direzione opposta a quella con cui cercherà di girare il mondo. Sì perché la partenza ufficiale è prevista da Broadway, organizzata dalla rivista Outing che sta finanziando il viaggio in cambio di una serie di racconti intitolata “Around the world with Wheel and Camera”.
La prima tappa del viaggio però è Washington, D.C., dove Lenz ottiene il passaporto e incontra il Segretario di Stato James Blaine.

Partenza ufficiale e coast to coast negli Stati Uniti verso ovest
Il 4 giugno sono quasi 100 i ciclisti che accompagnano Lenz alla partenza ma i curiosi che vogliono vedere e toccare con mano questo eccentrico avventuriero sono molti di più, tanto che il giovane scriverà sul suo diario:
“La gente si accalcava così forte attorno a me che era impossibile per me salire sulla bici, figuriamoci pedalare.”
Aiutato dalla polizia, Lenz riesce a farsi strada e iniziare ufficialmente il suo viaggio attraversando l’Hudson e dirigendosi finalmente verso ovest. Non passa giorno che non si fermi in un club ciclistico e venga accompagnato da qualche associato, desideroso di fare la conoscenza di questo intrepido giovane.
Seguendo il canale Erie il fotografo raggiunge Rochester, sede della Eastman Company e della Rochester Optical Company. La presenza di queste aziende ha reso il viaggio sin qui quasi un pellegrinaggio. La prima delle due produce da qualche anno la già famosissima kodak, la prima fotocamera compatta con rullino, mentre la seconda realizza le fotocamere che Lenz trasporta nella sua cassetta di legno.
Arrivare in questa città perciò significa molto per il nostro pedalatore. Per farvi capire quanto Lenz fosse appassionato di fotografia vi voglio raccontare una curiosità. Leggendo la sezione delle domande dei lettori in una copia digitalizzata di Outing a cui Lenz mandava costantemente i suoi racconti e da cui sono tratte gran parte delle informazioni di questo testo un tale W.S. Newark chiede chi sia a scattare le foto, dato che Franz appare in esse.
Insomma, i selfie non erano ancora stati inventati e, ad essere onesti, nemmeno gli autoscatto.
La redazione del giornale risponde che Lenz ha inventato e realizzato un marchingegno:
"si tratta di una serie di controlli temporali che regolano e aggiustano sia il tempo che deve trascorrere tra il posizionamento della macchina fotografica e l'entrata in posizione di Lenz, sia il tempo di esposizione"
Insomma, un autoscatto casareccio.
Reso omaggio alla città della fotografia, Lenz prosegue verso Buffalo, che raggiunge dopo un paio di settimane.
Il 19 giugno raggiunge le cascate del Niagara insieme a un gruppo di altri 18 ciclisti del Press Cycling Club, uno dei più attivi dell’epoca. Seguendo il fiume Niagara per la prima volta esce dagli Stati Uniti per entrare in Canada e iniziare a pedalare su una strada sterrata ridotta piuttosto male.
Incontra contadini che producono fragole e trasportano sui loro carri decine di indiani pagati “quasi nulla” per fare da raccoglitori. Il clima non lo assiste ed è costretto a pedalare verso ovest sotto la pioggia, con le strade che si trasformano in fiumi di fango.
Raggiunge prima Toronto per poi rientrare negli States e costeggiare il lago Michigan fino a Chicago, dove fervono i preparativi per la Columbian Exposition che si sarebbe dovuta tenere l’anno successivo. Questa fiera internazionale tra l’altro sarà la meta del Viaggissimo, come venne definita dal Corriere della Sera l’avventura di uno dei primi cicloviaggiatori italiani, Luigi Masetti.
Il polesano partì da Milano e raggiunse Chicago proprio nel luglio 1893. Ma avremo tempo di parlare anche dell’anarchico delle due ruote in uno dei prossimi episodi.
Entusiasta della città, Frank la lascia a malincuore dopo 4 giorni. A differenza di Stevens che ha quasi sempre pedalato in solitaria, lui non lo fa quasi mai. Ormai nel 1892 la bicicletta è diventata popolare: che sia in sella a un biciclo o a una safety, spesso qualche membro di un club ciclistico accompagna Frank per qualche decina di miglia fuori dalle città e così accade anche a Chicago.
I suoi racconti sono seguitissimi su Outing e il suo passaggio non resta inosservato.
A Baraboo deve attraversare il fiume omonimo e l’unico ponte, come spesso accade a fine XIX secolo, è quello ferroviario. Il problema è che a metà strada un treno espresso gli viene incontro e lo spazio sulle traversine è davvero limitato. Frank si aggrappa alla bici e la tiene sospesa nel vuoto, sedendosi sul ciglio del ponte mentre il treno sfreccia veloce. “il treno mi è passato accanto a 2 piedi di distanza, facendo tremare e gemere il ponte come se fosse pronto a crollare” scriverà nel suo racconto.
Questo tratto di strada è particolarmente ostico e sabbioso e si snoda tra i grandi fiumi, prima il Wisconsin e poi il Mississippi fino a Minneapolis.
Giunge il tempo di accelerare e dirigere le proprie ruote dritte dritte verso occidente. Così Lenz raggiunge Miles City sul fiume Yellowstone e ne segue la vallata fino a inoltrarsi nel parco nazionale omonimo, il primo al mondo che esiste da vent’anni e uno dei soli tre presenti negli Stati Uniti in quegli anni: gli altri due sono il Sequoia e lo Yosemite in California, istituiti da meno di due anni.
Lenz passa non lontano da Little Bighorn e celebra le gesta del generale Custer che qui venne sonoramente sconfitto da Toro Seduto nel 1876. Quella battaglia vinta segnò però la fine del popolo Sioux che dovette, di lì a poco, soccombere all’ordine di reclusione nella riserva emanato dal governo degli Stati Uniti in quello stesso anno.
Lo Yellowstone rappresenta uno dei grandi punti di arrivo per Lenz che è entusiasta di attraversare il parco nazionale e ammirarne le bellezze.
Proseguendo verso nord-ovest, oltrepassa le Cascade Mountains per raggiungere prima Portland e poi dirigersi spedito verso sud, entrando in California e raggiungendo San Francisco il 20 ottobre, dopo 107 giorni di pedalata e 8709 chilometri.
Le Hawaii e il Giappone
Lenz constata di avere la ruota anteriore praticamente nuova mentre quella posteriore è ormai completamente consumata. Si felicita di aver scelto in ogni caso la nuova tecnologia di ruota pneumatica, molto confortevole e sicura.
Trascorre 5 giorni a Frisco prima di imbarcarsi sulla Oceanic, nave della Pacific Mail Steamship Company, diretto alle Hawaii.
Conscio di essere in partenza per l’ignoto, Lenz vacilla quando deve salire sul ponte della nave e si guarda indietro per un’ultima volta prima di prendere il mare. Il primo di Novembre sbarca a Honolulu dove trascorre qualche giorno in compagnia dei membri del locale club ciclistico prima di risalire a bordo della nave diretta a Yokohama, in Giappone, dove arriverà 19 giorni e mezzo più tardi.
La terra del Sol Levante è definita dal nostro intrepido come la terra del crisantemo perché questo fiore, chiamato "Kiku" in giapponese, è il sigillo imperiale del Giappone e il fiore nazionale, che simboleggia l'imperatore e la famiglia imperiale. Tra l’altro il periodo in cui passa di qui, l’autunno, è proprio quello più propizio per vederne in giro moltissimi.
Lenz si innamora del paese e la descrive più o meno così:
Le tre isole più grandi, chiamate rispettivamente Yezo, Nippon e Kiusiu, se considerate in ordine da nord a sud, sono di gran lunga le più importanti.
Possono essere considerate come la totalità del Giappone vero e proprio, il Giappone del turista, e all'interno dei loro ampi confini si trovano centri abitati brulicanti, una meravigliosa varietà di scenari naturali, tutte le diverse fasi di un'esistenza antica e moderna che interesserebbero uno straniero, innumerevoli punti d’interesse storici e romantici, e monumenti dei governi ormai scomparsi per sempre, e dello Shintoismo e del Buddismo, le religioni del paese.
Si gode la pedalata, trovando gente disponibile e intelligente.
Nonostante il Giappone presenti un territorio ondulato e montuoso, resta impressionato dalla qualità delle strade, comparandole con le strade americane, Lenz arriva a dire che “non esistono strade così ben tenute”, soprattutto le Kai-do imperiali.
Quest’ultime sono assi viari risalenti al periodo Edo, che va dal 1600 al 1868, e sulle loro direttrici sorgono oggi le moderne autostrade e strade giapponesi, un po’ come sulle nostre antiche vie romane. Arrivato a Nagasaki, Franz non ha molta voglia di lasciare questo paese di cui si è innamorato pedalata dopo pedalata, soprattutto perché nei prossimi mesi dovrà affrontare quella che definisce:
“strana, inospitale, poco compresa e, per me, poco attraente Cina”

L'impero cinese: una sfida impossibile?
Da Nagasaki, giunge a Shanghai, percorrendo a ritroso il tracciato che anche Stevens aveva seguito sei anni prima.
Qualche giorno di ambientamento è sufficiente per far tornare al cicloviaggiatore la voglia di partire, spronato soprattutto dai suoi contatti nella compagnia telegrafica cinese che suggeriscono al giovane di seguire la loro linea lungo lo Yangtze, il fiume azzurro, il terzo fiume più lungo al mondo, per attraversare lo Yunnan e dirigersi verso Calcutta attraverso la Birmania, per un totale stimato di circa 3000 miglia.
Il 23 Dicembre, giorno della partenza verso occidente, Lenz è preoccupato per la pericolosità del tracciato e non sa bene cosa aspettarsi. Si accorge già nei primi giorni che il viaggio sarà molto più duro di quanto fosse stato finora: sarà costretto a campeggiare spesso nel nulla e affronterà svariate peripezie.
La prima grande città che raggiunge è Nanchino che già nel 1893 conta più di mezzo milione di abitanti. Gli strascichi della rivolta di Taping, una sanguinosa guerra civile che devastò la Cina tra il 1850 e il 1864, provocando tra i 20 e 30 milioni di morti, sono ancora visibili e tangibili quando Lenz attraversa il paese.
Nei suoi racconti Franz sottolinea quanto fosse difficile comunicare e piuttosto inutile imparare la lingua: ogni due o tre giorni infatti, si spostava in un distretto in cui il dialetto era completamente diverso da quello precedente e quasi nessuno parlava una lingua comune. Decide così che ogni conversazione sostenuta sarà in inglese, condita dalla parola Shangai finale, che metterà tutti d’accordo.
Una mattina viene svegliato dagli spari di una pistola, corre nella direzione del rumore e si accorge che proviene dalla sua bici, attorniata da una folla curiosa: la sera precedente aveva dimenticato la sua arma nella fondina legata alla Victor e un cinese, incuriosito, l’aveva impugnata e usata, fortunatamente senza ferire nessuno.
Prosegue la sua strada tra infinite distese di risaie e svariate miniere di carbone: non è impressionato dalla bellezza del paesaggio ma è l’accoglienza dei contadini dell’entroterra la cosa peggiore. Spaventati da questo strano personaggio in sella a un mezzo sconosciuto, spesso si raggruppano e gli tirano pietre.
In un’occasione è costretto anche a sfoderare la pistola e sparare in aria per disperdere la folla.
Le strade innevate lo costringono a spingere la bici spesso e volentieri. Inoltre viene prima derubato del suo treppiede in alluminio e poi di qualsiasi oggetto fosse a portata di mano al suo passaggio. Si accorge di aver camminato in giro quando dopo due giorni torna in un villaggio dove era già passato e così chiede aiuto nell’unico alberghetto del posto.
Il proprietario si fa convincere e carica la bici su una carriola, spinta da un paio di contadini che accompagnano Lenz.
Dopo una settimana nella neve e nel fango, raggiunge una missione nel mezzo del nulla dove viene accolto da un gesuita, padre Grillo di Genova.
Due giorni dopo raggiunge Kiu Kiang (Jiujang) dove torna a nevicare, così decide di fermarsi per un po’ di tempo. Festeggia il capodanno cinese in città, sotto la neve che continua a scendere copiosa.
Riparte verso Hankow e Ichang, per poi scavalcare le montagne dell’entroterra. Dovrà trasportare la bici oltre le vette dello Sichuan e sarà sempre accompagnato da dei portatori che lo aiuteranno nella traversata che richiederà 23 giorni per essere conclusa, fatta quasi sempre a piedi.
Il peggio è passato, ha perso parte di un orecchio in un’aggressione e ha rischiato di morire assiderato ma ora è aprile e le temperature, deviando verso sud, sembrano migliorare. Anche nello Yunnan le alte vette e le difficoltà non mancano ma in pochi giorni raggiunge il confine con la Birmania.
Per toccare il suolo di quella che allora era ancora una colonia inglese però, è costretto a guadare un fiume dalla corrente piuttosto impetuosa. Aiutato da militari britannici, finalmente si lascia alle spalle la Cina, scrivendo nei suoi diari:
“Ho attraversato l'intero impero, un'impresa ritenuta impossibile da ogni straniero a Shanghai. Sono scampato per un pelo alla morte, alla violenza e alla malattia, e a molte difficoltà, e dubito che riuscirei di nuovo a compiere il viaggio. In ogni caso, non ho la minima voglia di viaggiare di nuovo su ruote in Cina.”
E poco dopo:
"Dopo aver fatto il bagno e indossato abiti puliti, mi sentivo l'uomo più felice del mondo."

Dalla Birmania all'Iran attraverso le colonie inglesi
Lenz non sa che le sue peripezie non sono che all’inizio.
Anche la Birmania si rivelerà complessa. Le piogge monsoniche hanno reso le strade un pantano difficilmente pedalabile e per arrivare a Mandalay faticherà attraverso la giungla.
Un contadino che lo aiuta ad attraversare un fiume annega nell’intento e Lenz soffre il caldo umido della valle dell’Irrawaddy. Si ammala di malaria e raggiunge Rangoon, la capitale, solo dopo aver recuperato dalla malattia.
A Calcutta, raggiunta in nave a metà settembre, Lenz si riposa preparando il viaggio sulla Grand Trunk Road, la stessa strada che Stevens aveva percorso in senso opposto da Lahore.
Questo sarà il tratto più semplice e piacevole per l’americano che riuscirà anche a scattare qui delle ottime immagini del viaggio.
Raggiunta Karachi, nel sud del Pakistan, dopo aver attraversato il deserto, il cicloviaggiatore si sposta in Persia a bordo di una nave che lo sbarca a Bushehr da dove risale l’Iran passando da Shiraz e Isfahan.
Entra a Teheran a metà febbraio e ne resta incantato. Lenz si fa coccolare dal clima mite e dalla gentilezza dei persiani, fermandosi fino al primo di aprile.
Dalla capitale iraniana Lenz riparte verso nord, diretto a Tabriz, in quello che oggi è il Kurdistan iraniano.

Le ultime notizie prima della scomparsa
Alla fine di Aprile invia un altro resoconto del viaggio alla rivista Outing indicando la rotta che intende seguire.
In dieci giorni dovrebbe arrivare a Erzurum, nella Turchia orientale, per poi spostarsi verso Costantinopoli ed entrare in Europa, concludendo così il giro del mondo.
Lenz sente di essere vicino alla conclusione di un viaggio e si sfoga, stanco e desideroso di rientrare a casa. Le sue nostalgiche parole finali suonano quasi come un fatale presagio:
"E mentre scrivo queste ultime righe riferendomi a quel giovane mondo, l'America, che ho lasciato appena due anni fa, devo confessare di provare una sensazione di nostalgia di casa. Sono stanco, molto stanco di essere uno "straniero.
Desidero ardentemente il giorno in cui mi rivedrà sul mio focolare nativo e i miei vagabondaggi giungeranno al termine."
Alla redazione della rivista non arriveranno più resoconti e l’ultimo contatto rimarrà una lettera inviata a metà maggio 1894.

I dubbi sulla sua fine
Di Lenz si perdono le tracce qualche giorno dopo essere partito dalla città di Tabriz.
Passa giugno e Ann Marie, la madre, non riceve alcuna lettera.
Era una cosa strana, perché il figlio aggiornava la madre costantemente, con un mese circa di ritardo, sui suoi spostamenti. A luglio arriva un inquietante telegramma da Thomas Cook & Sons che informa la signora Lenz che il baule e la posta di suo figlio erano ancora in attesa di essere ritirati a Costantinopoli.
Alla rivista non si preoccupano più di tanto, Lenz aveva già saltato qualche mese di corrispondenza in passato e le pubblicazioni proprio per questo erano in ritardo di circa 6 mesi sulla reale posizione del ciclista, tanto che l’opinione pubblica crederà poi che il viaggiatore sia morto nelle sabbie del Beluchistan pakistano.
L’inazione del direttore di Outing indispone la madre e gli amici di Lenz che si rivolgono quindi al Segretario di Stato per chiedere un’indagine sulla scomparsa del giovane.
Tra l’altro la zona dove è scomparso è particolarmente tumultuosa, dato che l’impero ottomano è in crisi e i turchi stanno massacrando gli armeni.
Il caso diventa pubblico e fa molto scalpore, dato che Lenz era molto conosciuto in patria. Le ipotesi iniziali spaziano dalla malattia al rapimento, ma presto le speranze di ritrovare in vita Franz si affievoliscono fino a esaurirsi.
Un missionario americano, WS Vanneman, che aveva visto Lenz qualche giorno dopo la sua partenza da Tabriz, disse: "Non c'è dubbio che sia morto, in uno dei due modi, o annegato nell'attraversamento di un fiume, o caduto vittima della violenza curda. Quale delle due ipotesi sia la più probabile dipende dal punto in cui si sa sia arrivato"
Un altro missionario di Erzurum, Chambers, scoprì che il ciclista era arrivato non molto lontano dalla città e aveva trascorso la notte del 9 maggio 1894 in una fattoria. In questo modo si stabilì che Lenz non potesse essere annegato ma doveva essere stato assassinato, dato che oltre quel punto non c’erano guadi pericolosi da affrontare.

La ricerca di Sachtleben
A fronte della forte pressione, Worman, editore di Outing, a inizio 1895 decise di inviare qualcuno in Turchia per ritrovare le spoglie di Lenz e capire meglio cosa fosse successo.
Dopo qualche dissapore con la famiglia, Worman ingaggiò William Sachtleben che aveva attraversato quella zona in bici tre anni prima durante il suo giro del mondo con Thomas Allen Jr.
Sachtleben, nonostante molti ostacoli e ritardi, imposti soprattutto dal ministro americano in Turchia, tale Terrell, riuscì a raggiungere Erzurum e insieme al missionario Chambers scoprì che Lenz ebbe una discussione proprio la sera del 9 maggio nella fattoria di Chilkani con un noto rapinatore e assassino, Moostoe Niseh.
A quanto pare, Niseh era stato rimproverato da Lenz quando lo aveva trovato nei pressi della sua bicicletta, e il mattino successivo, il 10 maggio, il delinquente per vendicarsi dell’umiliazione subita davanti alla sua banda, era tornato alla fattoria uccidendo l’americano.
Un corpo che potrebbe essere quello di Lenz fu ritrovato nel fiume vicino e seppellito dalla comunità locale anche se Sachtleben non trovò mai quella tomba e dato che Niseh e la sua banda riuscirono presto a evadere dal carcere, non si saprà mai se questa sia realmente la triste fine di Lenz.
Purtroppo Ann Marie, fino alla sua morte, dovrà convivere con l’impossibilità di dare un ultimo saluto all’amato figlio.
Tutte le illustrazioni e foto presenti in questo articolo sono dello stesso Lenz e sono state prese dal copie digitalizzate della rivista Outing























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