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Thomas Stevens in Giappone
Thomas Stevens in Giappone
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28 gennaio - 5 febbraio 2026

Alla scoperta della penisola arabica e dei monti Hadjar Occidentali

 
 

È appena uscita la prima puntata del nuovo podcast di viaggi in bici di Life in Travel: i Velocipedisti, in cui ti racconto le gesta dei nostri antenati, coloro che per primi si spinsero oltre i propri limiti per esplorare il mondo in sella a una bicicletta.

La prima puntata de I Velocipedisti non poteva che essere dedicata a lui, il primo cicloturista della storia o meglio, il primo ad aver compiuto il giro del mondo in sella a un biciclo, la bici più popolare della sua epoca. Sto parlando di Thomas Stevens e qui puoi leggere la sua storia, oppure puoi ascoltare il podcast direttamente qui o sulla tua app di ascolto preferita.

Thomas Stevenss bicycle journey

I Velocipedisti, il podcast dedicato ai pionieri del cicloturismo

Viaggio in bici dal secolo scorso e negli ultimi 20 anni sono stato testimone e ho descritto la rivoluzione a pedali che ha messo in sella decine di migliaia di cicloviaggiatori in Italia e nel mondo.

In questo podcast rendo omaggio ai nostri antenati e ti racconto le loro storie, perché con coraggio e un pizzico di follia, si sono spinti oltre i loro limiti e hanno esplorato gli angoli più remoti della Terra facendo in modo che noi potessimo seguire le loro orme.

I Velocipedisti è un podcast di Life in Travel, ideato, scritto, e narrato da me 

podcast i velocipedisti lifeintravel

Thomas Stevens: il primo cicloviaggiatore della storia

Era alta circa un metro, in rame e bronzo, aveva la forma d'una campana e venne presentata per la prima volta all'esposizione generale italiana di Torino da Angelo Moriondo a partire dal 26 Aprile 1884. Sto parlando della prima macchina per il caffè espresso, la “famosa caffettiera miracolosa con cui si preparano dieci, venti, cento tazze di caffè in pochi minuti” come veniva pubblicizzata allo stesso chiosco dell’esposizione.

Mentre a Torino imprenditori visionari e curiosi appassionati degustavano il primo caffè istantaneo, dall’altra parte del globo, in California, un certo Thomas Stevens aveva appena lasciato San Francisco diretto a est.

Il suo Columbia "Standard" da 50 pollici smaltato di nero con ruote nichelate, della Pope Manufacturing Company di Chicago era un mezzo in voga in quegli anni anche se di lì a poco sarebbe stato sostituito da uno più comodo e sicuro.

Il trentenne inglese, in ogni caso, non si curava di non poter ancora bere un espresso o viaggiare sull’ultimo modello tecnologico. Era giovane, esuberante e soprattutto aveva una gran voglia di scoprire il mondo e vedere con i suoi occhi cosa ci fosse oltre le strade di ‘Frisco’.

Thomas Stevens bicycle

La gioventù: l'emigrazione e Jules Verne

Nato nel 1854 a Berkhamsted, era emigrato negli Stati Uniti negli anni ‘70. Suo padre William, operaio, era andato nel Missouri già nel 68, ma fu costretto a rientrare a causa di una malattia della moglie Ann. Così nel 71, nemmeno diciottenne, Thomas sbarcò negli States con un fratellastro mentre la sua famiglia lo raggiunse solo nel 1873.

Le storie di emigrazione in quegli anni sono spesso intrise di sofferenza e sopraffazione e anche quella di Thomas non è da meno. Inizia a lavorare in una fabbrica ferroviaria del Wyoming. In quegli anni lo sviluppo della rete su rotaie sfamò migliaia di bocche nonostante le condizioni di lavoro estremamente dure e logoranti.

Per mettere da parte qualche centesimo in più Thomas escogita un metodo che lo avrebbe portato, di lì a poco, a essere cacciato dalla città: aiuta lavoratori britannici a entrare negli Stati Uniti e a trovare lavoro, trattenendo per sé una parte dei loro stipendi. Per questo quando la polizia viene a conoscenza di questo suo lavoretto extra, con la sua famiglia è costretto a spostarsi di nuovo e trovarsi una nuova residenza. In Colorado, non lontano da Denver, viene assunto in una miniera dove, mi piace immaginare, Thomas inizia a leggere un romanzo pubblicato nel 1872 da tale Jules Verne: “Il giro del mondo in 80 giorni”.

Verne Tour du Monde

Ispirato da questa lettura, quando con la famiglia si trasferisce a Oakland, sulla sponda orientale della baia di San Francisco, cerca di trovare un modo economico e veloce per poter compiere il giro del mondo e l’unico mezzo che gli pare fare al caso suo è quella strana invenzione con una ruota enorme a cui sono agganciati due pedali e un ruotino di sostegno sul posteriore: il biciclo.

Stevens viaggia con il biciclo

Questo mezzo è il genitore della bicicletta come la conosciamo noi oggi, quella che venne definita in quegli anni, safety bike, bici di sicurezza. In quegli anni il biciclo in inglese veniva chiamato penny-farthing per via delle ruote di dimensioni differenti: una più grande come il “penny” e una più piccola come il “farthing”, moneta dal valore di un quarto di penny.

Mark Twain, nel saggio intitolato Domare la bicicletta afferma: "Procuratevi una bicicletta. Non ve ne pentirete, se sopravvivrete".

Sì, perché solo imparare a guidare i primi mezzi senza spezzarsi l’osso del collo era un’impresa non da tutti.

Pennyfarthing 1886

Il biciclo va scalato, prima di poter iniziare a pedalare. La sella infatti si trova sopra la ruota anteriore, a circa 1 metro e mezzo da terra e non può essere regolata alla giusta altezza, quindi se hai le gambe corte ti devi allungare per raggiungere i pedali. E poi far partire una ruota da 50 pollici non è così semplice: sul biciclo non esisteva una trasmissione che moltiplicasse lo sforzo umano dai pedali alla ruota posteriore. Il moto rotatorio veniva trasmesso direttamente al mozzo e da lì alla ruota anteriore che per questo era molto grande.

Una volta partito il biciclo era un mezzo straordinario, ma avviarlo e fermarlo richiedeva capacità non comuni.

Con l’introduzione della catena e della trasmissione, le ruote sulle biciclette divennero di dimensioni uguali e molto più piccole, rendendo il mezzo molto più comodo e sicuro. Per questo le prime biciclette vennero definite “safety bike” o bici di sicurezza, ma di questo parleremo nelle prossime storie di questo podcast.

La partenza per attraversare gli Stati Uniti

Alle 8 del mattino del 22 Aprile 1884, quattro giorni prima che Moriondo a Torino presentasse la sua pazzesca invenzione, Thomas Stevens si trova sul ponte dell’Alameda, uno dei magnifici traghetti che attraversano la baia di San Francisco. 28 minuti più tardi scende al molo di Oakland per lasciarsi alle spalle quel magnifico scorcio californiano e ritrovarsi poco più tardi su una strada sterrata con il sole in faccia. Il suo piano è quello di partire per un viaggio attorno al mondo.

Oggi sembra una banalità, ormai i cicloviaggiatori che hanno fatto il giro del mondo non si contano, ma all’epoca era un’idea a dir poco ambiziosa.

Basti pensare che altri sette uomini nei tre anni precedenti avevano provato ad attraversare “solo” gli Stati Uniti da ovest verso est, ma nessuno di loro era riuscito a superare le difficoltà delle montagne rocciose, i deserti e i corsi d’acqua senza ponti tra la California e il Missouri.

crossing sierras

“L’imprevedibile piano di un visionario” fu il commento più lusinghiero che ricevette, come scrive lo stesso Thomas nel libro che pubblicò nel 1887.

Sul molo di San Francisco, al manubrio del suo fidato compagno d’avventura, Tom lega una valigetta contenente un paio di calzini puliti e una camicia di ricambio. Al telaio un impermeabile che funge anche da sacco a pelo e da tenda. Sopra la valigetta un borsello con una smith&wesson calibro 38. Fine. Questo è tutto il suo bagaglio.

Veste un paio di stivali da cowboy, pantaloni, camicia e giacca oltre a un cappello a tesa larga. Insieme a un ristretto gruppo di ciclisti di Frisco e Oakland, Stevens inizia la sua avventura pedalando verso San Pablo.

L’inverno precedente, come sottolinea sempre nel libro Around The World On A Bicycle, era stato il più piovoso dal 1857 e le strade sono pessime, una sorta di ondulato tappeto di rocce sulle quali il biciclo non deve essere stato esattamente come una mountain bike full dei giorni nostri. Eppure Tom descrive l’esperienza come “la sensazione di guidare una barca sulle dolci onde del mare, uno dei piaceri della vita”.

Se il buongiorno si vede dal mattino, è facile intuire quali disavventure dovrà superare il giovane ciclista. Ma come spesso accade, il superamento di un limite, di un ostacolo, dipende soprattutto dalla propria forza mentale e Thomas pare assolutamente deciso a portare a compimento il suo intento.

La prima grande barriera da oltrepassare in questo viaggio attraverso il continente è quella del fiume Sacramento che ha inondato le pianure. L’unico modo che Tom può ingegnarsi per attraversare le paludi primaverili è quello di seguire i viadotti ferroviari realizzati per permettere ai treni di attraversare queste distese anche quando vengono inondate dalla neve che si scioglie sulle Sierras Nevadas. Fortunatamente sui viadotti sono presenti delle travi trasversali che permettono al giovane di spostarsi quando un treno passa sui binari.

La situazione diventa più complicata quando è costretto a scegliere se passare all’interno di un tunnel ferroviario largo lo stretto necessario per far passare un treno o aggirare la collina su un viscido sentiero a strapiombo sul burrone. Sceglie la seconda opzione e, a parte insozzare il vestito di argilla, cosa che sembra preoccuparlo molto, se la cava anche stavolta.

Scavalcare le Sierras Nevadas si rivela un ostacolo meno arduo di quanto avesse pensato anche se gli sguardi straniti dei cercatori d’oro davanti a quel mezzo inconsueto non lo rassicurano.

Dopo i monti, ecco il deserto: entrato in Nevada infatti Tom, che segue il sentiero dei migranti venuti verso ovest ai tempi della corsa all’oro, si trova a dover affrontare il 40 miles desert, un desolato tratto di percorso senz’acqua che conduce verso il fiume Humbolt.

forty desert miles

La prima parte di viaggio si svolge in un territorio abitato perlopiù da rancheros messicani e spesso Stevens si trova accerchiato. Il motivo però non è così bellicoso: il cavallo d’acciaio che cavalca crea curiosità e è costretto a spiegarne il funzionamento oltre che farlo provare ai più temerari.

Outing, la principale rivista sportiva dell’epoca, si era impegnata a sponsorizzarlo e così ben presto la sua impresa viene conosciuta in tutti gli States. I gruppi ciclistici delle varie città che attraversa si prodigano per aiutarlo e invitarlo, incoraggiandolo a proseguire.

Già dai primi giorni di viaggio Thomas si rende conto che il suo mezzo gli impone di dover scendere e camminare per lunghi tratti del percorso e così decide di fermarsi da un calzolaio e farsi rinforzare le scarpe per le lunghe camminate che lo attendono. Alla fine dei quasi 6000 chilometri che lo condurranno a Boston Tom ne avrà percorsi circa duemila a piedi, spingendo la bici.

Tra le centinaia di incontri con animali fatti in Nevada, il puma che si gode il sole mattutino dietro una collina è di certo quello più spaventoso, ma Thomas reagisce come tutte le altre volte: estrae la sua pistola dalla fondina e spara. Fortunatamente pare non avesse una gran mira, ma la naturalezza con cui racconta nel suo libro di queste continue tentate carneficine ci fa capire come fosse diverso il mondo alla fine del XIX secolo.

puma

L’ultimo ostacolo prima di raggiungere le grandi pianure centrali, sono le Rocky Mountains, una catena di alti massicci rocciosi che taglia il Nord America da nord a sud per oltre 4800 km, dalla Columbia canadese al New Messico.

Passato il “Continenal Divide”, oltre il quale tutte le acque fluiscono a est, Tom procede spedito passando prima comunità di Mormoni e poi le grandi pianure dell’Iowa e dell’Illinois per raggiungere il 4 di luglio la città di Chicago sulle sponde del lago Michigan. Alcuni giorni di riposo servono a Thomas per recuperare le energie necessarie a concludere la traversata, ormai vicina a compimento.

103 giorni dopo la sua partenza, alle due del pomeriggio del 3 Agosto 1884, Thomas Stevens entra a Boston e diventa il primo uomo ad aver attraversato gli Stati Uniti d’America in bicicletta da ovest verso est, dal Pacifico all’Atlantico, percorrendo circa 3700 miglia, quasi seimila chilometri.

Il grande sogno: il giro del mondo

Il magazine Harper’s che oggi, a 175 anni dalla sua fondazione, è il più antico magazine mensile pubblicato negli Stati Uniti, nel suo numero del 30 Agosto 1884 scrisse:

“Più di un terzo del percorso seguito dal signor Stevens dovette essere percorso a piedi. Ottantatré giorni e mezzo di viaggio effettivo e venti giorni di sosta per maltempo e riposo fecero sì che impiegasse centotré giorni e mezzo per raggiungere Boston, con una distanza su strada carrozzabile di circa 3.700 miglia. Seguì la vecchia pista californiana per la maggior parte del percorso attraverso le pianure e le montagne, stupendo gli indiani e incontrando molte strane avventure.”

Ma Stevens non è sazio.

Si riposa, scrive e disegna schizzi della sua epica avventura, che la rivista Outing pubblica e che poi ritroveremo nel suo libro. Racconta la sua storia e trascorre l’inverno a New York, ma in mente non ha altro che il grande sogno: essere il primo uomo a compiere il giro del mondo in sella a una bicicletta.

Nel frattempo Outing, la rivista sportiva che lo aveva sponsorizzato e su cui Stevens aveva scritto e pubblicato i propri disegni, lo nomina corrispondente speciale.

La ripartenza e l'Europa

Il 9 Aprile 1885, poco meno di un anno dopo la partenza dal molo di Alameda, il piroscafo City of Chicago salpa da New York in direzione Regno Unito, dove attracca dieci giorni dopo a Liverpool.

Stevens sbarca nella sua terra di origine e ormai è un personaggio conosciuto. Si prende qualche giorno per spostarsi a Londra, ottenere il passaporto e il visto per la Turchia oltre che raccogliere informazioni e mappe della Cina, dove pensa di passare per completare il suo giro attorno al globo.

Il 2 di maggio alle quattro del pomeriggio una folla di circa cinquecento persone si è radunata nei pressi della chiesa di Edge Hills per vedere partire questo strano personaggio che ha attraversato l’America su un biciclo e si appresta a pedalare l’intera superficie terrestre.

25 ciclisti dell’Anfield Bicycle Club accompagnano Thomas nelle sue prime pedalate fuori dalla città, che sono celebrate da una delle classiche showers anglosassoni. La pioggia non demoralizza il navigato ciclista che raggiunge prima Berkhamsted, la sua città natale, per poi proseguire verso sud e fare il suo ingresso nell’Europa continentale, nella cittadina di Dieppe in Normandia.

france

Stevens si stupisce per l’ottima condizione delle strade, ammira i castelli della Senna e si spinge fino a Vernon prima di fare il suo ingresso regale sugli Champs Elysées attraverso l’arco di Trionfo. Resta ammirato dai borghi medievali francesi prima di fare entrare in Alsazia che in quel periodo vive la sua breve finestra sotto la bandiera tedesca.

Attraversata la Germania, Tom prosegue spedito, sotto una pioggia che continua a inseguirlo, verso l’Impero Austro-Ungarico. Attraversa la Baviera, ammirando la ricchezza culturale di Monaco per poi seguire l’Inn e attraversarlo a Simbach.

Le divise asburgiche lo accolgono e le acque del Danubio lo conducono fino a Vienna prima di portarlo in Ungheria. A Budapest trova l’esposizione internazionale e si stupisce piacevolmente per la situazione, la più evoluta e aperta che abbia incontrato sul continente. Sembra inconcepibile pensando all’Ungheria di Orban oggi.

I membri del Cycling Touring Club di Budapest lo aiutano e addirittura Svetozar Igali, un cicloviaggiatore del posto si offre di accompagnarlo fino a Belgrado e, perché no, finanche fino a Costantinopoli. Ammaliato dalla bellezza delle donne magiare, Tom fatica a lasciare la capitale ungherese, da cui parte insieme a un bel gruppetto di ciclisti e a Igali.

In Slavonia, attuale Croazia continentale, Stevens e il suo nuovo compagno sono costretti a spingere parecchio la bici date le condizioni disastrose delle strade ma non demordono spingendosi verso sud attraverso Serbia e Bulgaria. Il mezzo con cui Stevens si muove è sconosciuto ai più e i contadini balcanici reagiscono in maniera scomposta quando lo vedono arrivare. Nella maggior parte dei casi chi sta manovrando un carro sulla strada e si incontra questo strano mezzo cavalcato da un uomo, si sposta fuori rotta il più possibile, per lasciare che la diavoleria con le ruote abbia tutto lo spazio necessario per passare senza venir intralciata.

presburg

Rimasto nuovamente solo, Stevens fa il suo ingresso in Rumelia, quella regione storica che includeva territori geograficamente appartenenti all’Europa ma politicamente controllati dall’impero ottomano. Indicativamente si intendeva i paesi al di sotto della catena balcanica, dal sud della Bulgaria all’Albania, dalla Macedonia alla Grecia del nord. 

Passando per Filippopoli, capitale della regione, l’attuale Plovdiv, Tom si appresta a terminare questa sua seconda parte di viaggio facendo il suo ingresso in Turchia.

Si accorge subito dell’insistente curiosità di questa popolazione che non chiede altro se non la possibilità di vedere Stevens cavalcare il suo destriero d’acciaio.

In ogni città, in ogni villaggio, a ogni sosta l’unica richiesta che gli viene fatta è:”Pedala, pedala!”.

Il viaggiatore si presta per poche pedalate ma la folla non ne ha abbastanza e ben presto questa diventa per lui un’ossessione. Il 18 luglio, poco più di due mesi dopo essere partito dall’Inghilterra, Thomas Stevens entra a Costantinopoli, l’attuale Istanbul, dove si concede una sosta per recuperare le energie e rifornirsi di qualche nuovo vestito e pezzo di ricambio.

In Asia fino a Teheran

Il 10 Agosto questo occidentale e il suo strano mezzo a pedali fanno il loro ingresso in Asia, dotati ora di una tenda, nuovi vestiti, un copertone di riserva e nuove cartucce per la pistola!

Thomas resta sempre il centro dell’attenzione ovunque passi. Il suo piano è quello di raggiungere prima dell’inverno la Persia e la sua capitale, Teheran, dove fermarsi in attesa che le rigide temperature invernali lascino le alture asiatiche.

Attraversare il Bosforo e inoltrarsi verso oriente porterà Stevens a sperimentare quello che vivono anche tutti i cicloviaggiatori moderni: l’estrema ospitalità e curiosità dei popoli musulmani. Difficilmente l’inglese riuscirà a passare una notte tranquilla quando si troverà in un villaggio: la processione di curiosi che lo verranno a salutare e che lo vorranno aiutare con un po’ di cibo o ospitandolo a casa sarà continua. Dal capo villaggio all’ultimo pastore, tutti desiderano conquistarsi la loro fetta di paradiso aiutando un viandante.

Passando alcuni valichi anatolici Thomas si nutre della bellezza del territorio, dove i minareti dominano i piccoli villaggi e le campagne verdi, come fari nel mare. Nel primo tratto di viaggio segue il Sakarya, terzo fiume turco ma sono le salite a gradoni dei sentieri studiati per muli e camminatori a sfiancare il giovane.

minaret

La sua avanzata rallenta notevolmente e nei primi disastrati tratti d’Anatolia riesce a percorrere circa 30 miglia al giorno, una cinquantina di chilometri.In questi territori viene accolto sempre apertamente dalle persone che incontra, ma fa anche la conoscenza dei Kangal, massicci colossi selezionati nei secoli per diventare abili protettori delle capre d’Angora. I cani fanno il loro mestiere egregiamente digrignando i denti al passaggio di Tom, che per proteggersi sfrutta la grande ruota anteriore del suo mezzo, frapponendola fra se e le fauci spalancate che si trova davanti. Il metodo funziona e il viaggio può proseguire, permettendo al ciclista di raggiungere Ankara.

Riposato e ritemprato, Tom segue ora il Kizilirmak, il più lungo fiume interamente in Turchia, per addentrarsi nell’estremo oriente del paese. In Anatolia Centrale segue la direttrice principale attraverso Yozgat e Sivas incontrando sul percorso popoli d’ogni tipo, dai nomadi ai Circassi. Gli anni in cui Stevens si addentra in Anatolia Orientale sono tumultuosi. Tutta l’attuale Turchia orientale, prima delle deportazioni e del genocidio che si perpetrò tra il 1915 e 1923, era abitata da minoranze armene.

L’impero ottomano nel 1885 è già in crisi, con i Russi che nel 1878 hanno guadagnato posizioni anche a oriente, a seguito della guerra e del seguente Congresso di Berlino.

Nel mezzo si trovano gli Armeni, popolo cristiano che da secoli viveva come minoranza nelle propaggini orientali dell’impero ottomano. Thomas viene a contatto con queste popolazioni, si fa ospitare e instaura rapporti cordiali con alcune delle loro famiglie. Nel suo percorso verso oriente passa da Erzincan e poi Erzurum che di recente è divenuta l’ultima grande città dell’Impero, dopo l’occupazione russa di Kars e dei territori dell’estremo est.

Il conflitto coinvolge di striscio anche Tom che una sera viene scambiato per russo e rischia grosso prima di essere protetto da altri viaggiatori turchi.

pasha

Dopo aver trascorso un paio di giorni in un campo di una missione cristiana a Erzurum, Thomas è pronto a ripartire verso la Persia. Per raggiungere la meta che si è prefissato per svernare dovrà prima attraversare il Kurdistan. La sagoma inconfondibile del monte Ararat si staglia all’orizzonte e ai suoi piedi, in territorio oggi turco, nasce uno dei due rami del fiume Eufrate.

Il nostro ciclista lo attraversa su un ponte ormai in pessime condizioni e si accorge di aver pedalato 1000 miglia da Istanbul. Inizia qui la sua lenta discesa verso sud, prima sul confine armeno e poi giù lungo il Tabriz Carvan Trail che conduce in Persia, l’attuale Iran. Si ferma in caravanserragli, viene ospitato dai Pasha di varie città, gli viene proposto di cambiare la bici per un cavallo, è costretto a guadare torrenti senza ponti e si difende da alcuni assalti di predoni sfoderando la sua Smith&Wesson.

Il 30 settembre 1885 all’una di pomeriggio le ruote del biciclo solcano l’ingresso della capitale persiana dove Stevens si fermerà per i mesi più freddi dell’anno. Dopo aver solcato 8000 miglia in tre continenti differenti, un po’ di riposo non potrà che essere ben accetto.

camping

Arresto in Afganistan e cambio di piani

L’inverno trascorre temperato e dolce nella capitale persiana e Stevens può programmare con calma le prossime mosse. Nei mesi iraniani prova a ricevere un permesso per attraversare la Siberia ma gli viene negato e quindi il 10 Marzo 1886 parte da Teheran verso oriente, deciso ad attraversare l'Afghanistan nonostante i suoi confini, si sa, siano chiusi.

camels

Tom riesce a entrare nel paese oggi governato dai Talebani, ma viene presto arrestato e imprigionato, se così si può dire, in una villa con giardino a Farah, dove viene ben nutrito e trattato dignitosamente.

In seguito viene scortato nel nord-ovest del paese, a Herat, da dove viene rispedito in Persia. Durante il trasferimento, all’inizio pedalava seminando spesso i soldati che lo seguivano a cavallo, poi venne costretto a smontare il proprio mezzo e caricarlo sui muli. Fu proprio in uno di questi trasferimenti che ci fu un incidente con un animale e numerosi raggi della ruota del biciclo vennero rotti. Riparato il danno, Stevens raggiunge Asterabad sul mar Caspio.

afganistan

Per completare il giro del mondo da ovest verso est è costretto a tornare a occidente e quindi rinuncia temporaneamente a pedalare per utilizzare mezzi pubblici: si imbarca su un traghetto che lo conduce a Baku, nell’attuale Azerbaigian. Da qui si sposta a Batumi, oggi in Georgia per imbarcarsi su un piroscafo che lo riconduce a Costantinopoli.

Ha deciso di aggirare l’ostacolo, salpando verso l’India e passando dal nuovo canale di Suez, inaugurato appena 15 anni prima.

In luglio giunge sulle sponde dell’Oceano indiano a Karachi, oggi in Pakistan e all’epoca ancora nell’Impero indiano dominato dai britannici. Il caldo è soffocante, il fiume Indo ha allagato le pianure e così Thomas decide di proseguire in treno fino al nord, per trovare un po’ di frescura e allontanarsi dalle malsane paludi costiere.

Raggiunge Lahore da dove inizia a pedalare verso oriente sulla storica Grand Trunk Road che da oltre due millenni collega l'Asia Centrale a quella Meridionale, da Kabul a Chittagong in Bangladesh.

grand trunk road

Si stupisce della qualità del fondo stradale che gli permette di pedalare a un buon ritmo. Attraversa Delhi e Agra, dove resta ammaliato dalla perfezione del Taj Mahal. Raggiunge la città sacra di Benares, meglio conosciuta oggi come Varanasi, e chiude la sua parentesi indiana a Calcutta, da dove si imbarca nuovamente per raggiungere Hong Kong in Cina.

La Cina, il Giappone e un sogno realizzato

A metà ottobre, dopo aver ottenuto il passaporto, può partire verso nord attraversando la Cina meridionale. In questa nazione fatica a comunicare e rischia di essere linciato in un villaggio dove il ricordo della guerra Sino-francese conclusa da pochissimo fa ancora storcere il naso alla vista di un occidentale.

Salvato da un funzionario governativo, fatica a procedere a causa della condizione pessima dei sentieri e delle strade. Arriva a Shanghai giusto in tempo per imbarcarsi sul vaporetto che lo porta in Giappone, a Nagasaki.

Lo stupisce il contrasto tra la sporcizia delle città cinesi e la pulizia e perfezione di quelle Giapponesi. Il paese del Sol Levante è l’ultimo della lista da pedalare prima di far rientro negli Stati Uniti. Il contrasto tra Cina e Giappone viene sottolineato anche dalla pedalata più piacevole e semplice, tra Nagasaki e Yokohama dove Tom conclude la sua parte pedalata attorno al mondo il 17 dicembre 1886.

japan

Un’altra nave, l’ultima, lo riporta a San Francisco, a gennaio 1887, dopo aver pedalato 13.500 miglia, circa 22.000 chilometri.

Le altre avventure di Stevens

Il viaggio attorno al mondo che lo consegnerà alla storia è concluso ma la vita avventurosa di Stevens prosegue.

Due anni dopo il ritorno a San Francisco decide di partire per l’Africa alla ricerca di Sir Henry Morton Stanley (sì sì, colui che trovò Livingstone e pronunciò la famosa frase “Dottor Livingstone, i suppose!”) che non dava notizie di sé da anni.

Stanley stava bene e Stevens si dilettò a scalare il Kilimangiaro ed esplorare la zona narrando le sue imprese per un giornale Newyorkese.

Tornato negli States non sapeva stare tranquillo e quindi programmò altre spedizioni in Russia ed Europa prima di far ritorno in patria, in Inghilterra, per sposarsi e dirigere un teatro.

Morì, ormai anziano, a Londra, ma il suo nome rimarrà per sempre alla storia come quello del primo uomo che completò il giro del mondo in sella ad una bicicletta!

Tutte le illustrazioni presenti in questo articolo sono dello stesso Stevens e sono state prese dal libro pubblicato al termine del suo viaggio

 
 
Ultima modifica: 27 Ottobre 2025
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Leo

Viaggiatore lento con il pallino per la scrittura e la fotografia. Se non è in viaggio ama perdersi lungo i mille sentieri che solcano le splendide Dolomiti del suo Trentino, sia a piedi che in mountain bike. Eterno Peter Pan che ama realizzare i propri sogni senza lasciarli per troppo tempo nel cassetto, dopo un anno di Working holiday in Australia e dieci mesi in bici nel Sud est asiatico, ora sogna la panamericana... sempre in bici, s'intende!

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