Mancano cinque giorni alla partenza.
Più passa il tempo e più mi rendo conto che non riuscirò a partire sabato, forse non devo azzardare troppo, forse devo cercare una meta più vicina. Per questo viaggio l’obiettivo è soprattutto lo studio del mezzo di trasporto: il fine è nel mezzo, il fine è il mezzo. So bene che essendo il primo prototipo in futuro potrà essere rielaborato. Ho già visto che alcuni elementi andrebbero costruiti diversamente, ma quelli fatti per stavolta possono andare bene, se ripartirò ci penserò.
Non ho materiali e strumenti professionali, tagliare un pezzo di ferro a mano e rifinirlo con la lima da mazzo, poi con la lima bastarda e poi con quella dolce, non è come tagliarlo con una troncatrice precisa. Non mi sono allenato a camminare, ma non dovrebbe essere un problema. Però non mi sono allenato neppure a pedalare, mi preoccupano i crampi e le ore in sella. Temo proprio che non ce la farò ad arrivare a Perugia in tempo, mi demoralizzo un po’. Non mi sto lanciando in nulla di fantasmagorico, ma penso che probabilmente combinerò ben poco.
Ho dedicato un sacco di tempo a questa preparazione e ora ho paura di aver fatto tutto per niente. Potrei rimandare la cosa, ma l’estate sta finendo e fra un po’ chiuderanno anche i campeggi. Devo partire al più presto!
Questo racconto fa parte del diario di viaggio a puntate scritto da Giancarlo Cotta Ramusino (in arte Girumin) che viene pubblicato in queste settimane. Potete leggere tutti i racconti già pubblicati nell'apposita sezione
Viaggio con la GOAT.
Vent'anni fa...
Visto che non ho ancora molto da dire vi racconto una precedente esperienza di elaborazione ciclistica.
Una ventina di anni fa... Sono su un cavalcavia pedonale, uno di quelli sui quali in bici non si può andare, sia perché è vietato (Eggià! È pedonale....) sia perché se in tutta la città è conosciuto come: “K2” ci sarà un motivo...
Sto pedalando in piedi perché la salita è veramente dura, sento d’improvviso che il piede destro tocca terra...
Per un nanosecondo penso: “Com’è possibile che il piede tocchi terra? È sul pedale e quindi non può toccare terra...”.
Vedo che il pedale è veramente appoggiato al cemento. Cos’è successo? Una delle due aste oblique del telaio si è spezzata. Mi crolla un mito, il telaio si è spezzato, il telaio di una bici da donna di quelle con i freni a bacchetta. Una delle marche italiane più conosciute, probabilmente la più famosa, che è sempre stata considerata la bici più robusta, l’indistruttibile! Torno a casa spingendo il rottame e rifletto sul da farsi. Chiedo poi a qualcuno se posso saldare il telaio, mi vien detto che non è possibile: quindi ci provo!
Ho bisogno della bici urgentemente, devo trovare una soluzione. La lego fra due alberi per tenerla in tensione e ridarle una forma, prendo qualche pezzo di ferro e lo saldo al telaio. Il risultato non è il massimo, le due ruote non saranno più in linea perfetta, neanche lontanamente perfetta, ma ora la bici può tornare a fare il suo mestiere.
Ogni buon pendolare ciclista ha bisogno di una bici da lasciare in stazione tutto il giorno: la dedico a quello. Finita la saldatura le installo un bel portapacchi, il portapacchi del nonno, molto simile a quello del panettiere di una volta. La valigetta si piazza bene in orizzontale. La vernicio di bianco a chiazze rosse, senza perdere tempo nel togliere polvere e fango, anche loro contribuiscono a consolidare la struttura. Sarà una bici da guidare con due mani perché, soprattutto in curva, le due ruote non sempre hanno voglia di andare nella stessa direzione, ma non sarà ambita dai malandrini.
[Oggi quella bici non ce l’ho più. In compenso ne ho una con il mozzo posteriore rotto, mi aiuta a tenere in allenamento l’equilibrio.]
Gli ultimi preparativi
Devo ancora finire le aste e le cinghie per il traino a spalla. Non ho ancora provato a caricare la bici sul carrello, magari quando proverò salteranno fuori nuovi problemi. Ho ancora qualche dubbio, il carrello non sarà troppo ingombrante sulle strade trafficate e nei centri abitati? La bici riuscirà a sostenere lo sforzo del traino?
Qualcuno guardando tutta la roba che sto preparando mi chiede: “Come fai (con tutta ‘sta roba…) ad andare in stazione a prendere il treno?”. “Semplice, non ci vado”.
La sera carico tutto in macchina e vado a fare una prova nel parcheggio dell’Università. Assemblo il tutto, il carrello non è finito, qualche pezzo lo blocco con i morsetti da falegname. Aggancio il carrello alla bici e ci piazzo sopra una cinquantina di chili di ferraglia: chiodi, dadi e bulloni. Se stavolta non passo la prova devo ripensare tutto da capo. Salto in sella e comincio a pedalare, chissà! Vado... il carrello mi segue, non esplode, non si ribalta, non si spezza!
Sembra ovvio, ma non lo era fino a due minuti fa. Funziona! Posso partire!
Sono contento, molto contento, contentissimo. Sono le dieci di sera e io vado avanti e indietro. Pedalo come un bambino che ha appena tolto le rotelle dalla bici e non vuole più scendere.
Senza rotelle, a piedi nudi!
Il giorno in cui si tolgono le rotelle è uno dei momenti che segnano la crescita nella vita di un essere umano, uno degli istanti in cui si delimitano un “prima” e un “dopo”. Passano un paio di auto, ma nessuno si ferma a guardare cosa faccio, mi sembra però che la stessa auto passi più volte, sono curiosi, ma non si fermano certo. Non tutti si fidano a fermarsi davanti a uno che va avanti e indietro nelle mie condizioni.
Magari sono gli stessi che mi hanno già visto correre in questo parcheggio a piedi nudi prima di partire per un lungo cammino, l’ho fatto per rinforzare i piedi e prevenire le vesciche, non per imitare il mitico Tom Perry, che corre normalmente sulle montagne a piedi nudi. Oggi qualcuno sta riproponendo il cammino a piedi nudi come filosofia. Anche qui la filosofia ha un nome inglese, i camminanti scalzi si chiamano “barefooter” e propongono di muoversi solo a piedi nudi, hanno anche inventato i “quasi sandali”. Servono per fingere di indossare i sandali, così la gente non si scandalizza se ti vede in giro con quelli.
È interessante quest’idea, soprattutto se si pensa che in alcuni paesi viene proposta come una rivoluzione culturale mentre in altri paesi c’è chi le scarpe le ha solo viste indosso ad altri e vorrebbe averne. Detto questo è doveroso citare il mitico
Abebe Bikila, podista etiope che
nel 1960 vinse la Olimpiadi di Roma correndo a piedi nudi.
La perfezione non esiste
Nel parcheggio la Polizia non passa e quindi non mi controlla, una volta la ronda mi ha fermato di notte lungo il fiume mentre facevo un sopralluogo per un attraversamento notturno, ma gli avevo dimostrato che non stavo facendo nulla di male. Anzi, ci eravamo fermati a parlare del tipo di barca da usare. Non divaghiamo e torniamo al collaudo della Goat. Ora vedo il risultato che speravo e sono contento, però mi sono talmente immerso nel lavoro, nell’elaborazione di bici e carrello, nella ricerca delle migliori soluzioni, nella cura dei dettagli… Ora mi spiace che la preparazione finisca. Da una parte sono stufo di lavorare senza vedere mai la fine, dall’altra mi spiace che termini il lavoro manuale che, nonostante problemi e insuccessi, da anche grandi soddisfazioni... Alla faccia di coloro che non capiscono il valore del lavoro manuale!
Ogni volta che ci metto mano mi rendo conto che potrei migliorare qualcosa. Vorrei mettere in pratica altre idee, mi piacerebbe rifinire meglio alcuni dettagli. La bici stessa, dopo tutti gli scaravoltamenti, già meriterebbe una bella riverniciata. Partire ora mi da l’impressione di lasciare il lavoro a metà, ma se continuassi così, nella ricerca della migliore soluzione, andrei avanti in eterno.
Sento quel che solitamente si prova alla fine di un cammino, da una parte sei felice perché sei arrivato, dall’altra sei triste perché il cammino finisce. Devo partire, altrimenti faccio la fine del tenente Drogo del deserto dei Tartari, continuo a prepararmi e non parto mai.
Nel frattempo vi racconto un altro episodio ciclistico. Sto pedalando sulla pista ciclabile, davanti a me una ragazza in bici improvvisamente decolla e atterra per assaggiare l’asfalto davanti a sé. La bici va da una parte e la ciclista dall’altra. Mi fermo per darle una mano e l’aiuto ad alzarsi, improvvisamente ha visto il mondo a testa in giù. Si è spezzata la forcella anteriore nel punto in cui le due aste si uniscono al cannotto che si infila nel tubo del telaio e sul quale si fissa il manubrio.
Come ha fatto a tagliarsi il tubo del cannotto? Penso che si sia tagliato perché è poco lubrificato il cuscinetto, ma è sporco di grasso per cui era lubrificato. Non posso però fare una diagnosi approfondita.
La sventurata si alza e mi dice: “Cosa faccio adesso con la bici, la porto in discarica?"
Come... “La porto in discarica!”.
“È una bici con i freni a bacchetta, ha un valore, non buttarla, la puoi riparare.” (La bici lo sapeva che la sua padrona non le voleva bene, così si è vendicata preventivamente...).
Si avvicina una signora: “Ciao Veronica, ti sei fatta male?”. E prosegue: “Anche a me si è rotta la bici, ero in via... bla bla bla” e si mette a raccontare.
Ma... ti sembra il momento? Questa qua è ribaltata per terra, sta farneticando (certo: vuole buttar via la bici...) e tu arrivi a raccontarle le tue sventure, i cavolacci tuoi? Cosa vuoi che gliene fre... cioè, come puoi pensare che ne sia interessata? Perché quando ti succede qualcosa di brutto arriva sempre qualcuno che ti racconta che a lui è successo di peggio, che fa la gara a chi ha fatto l’incidente più brutto? Chi glielo ha chiesto?
Questo fatto però mi fa pensare, ho smontato tutti i pezzi della Goat e li ho rimontati lubrificandoli per bene, però ho usato del grasso che avevo da molto tempo, in un vasetto anonimo. Non avrò lubrificato i cuscinetti con il grasso per gli scarponi?!?
Puoi rileggere le puntate precedenti del Viaggio in Graziella sulla Via Francigena:
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