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Iran in bicicletta – Cronistoria di un amore non corrisposto
Quando riuscirò a digerire questa lunga parentesi mediorientale che è stato l’Iran? Tre mesi in un solo paese! Possono sembrare un tempo interminabile in un viaggio in bicicletta intorno al mondo ma, in fondo, sono appena bastati per imparare a rispondere ai primi saluti in farsi; per fare il callo all’implacabile ospitalità del popolo iraniano; per disabituarsi a tendere la mano a qualcuno del sesso opposto e assuefarsi invece a tenerla aperta sul cuore.
Qualche numero
L'Iran in cifre
- Giorni in Iran
- 90
- Km percorsi in bici
- 2500
- Km percorsi in bus
- 1500
- Km percorsi in autostop
- 1500
- Notti campeggio libero
- 22 su 90
- Notti ospitati in casa
- 63 su 88
- Notti in albergo
- 5 su 90
- Spesa media giornaliera
- 3 € a testa
- Pasti in trattoria
- 26
- Costo medio di un pasto
- 2,80 € a testa
- Costo medio di una doppia a notte
- 18 €
- Costo del visto
- 100 € (visto più due estensioni)
- Spese per la bici
- 8 € (copertone)
- Spese di trasporto
- 68 € a testa
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Tutto in Iran è spiazzante e familiare allo stesso tempo.
È un gigante addormentato che bisogna guardare da molto lontano per riuscire a riconoscere come un immenso corpo unico che si muove all’unisono. Quando invece vi ci si immerge all’interno dà a ciascun viaggiatore l’immagine che questi cerca nel proprio peregrinare in terra straniera: epico e remoto come un’oasi sperduta tra le dune sabbiose del deserto di Lut, il luogo più caldo del mondo; vibrante e concitato come un ballo curdo o i vicoli del bazar di Tabriz; serafico e immortale come i bassorilievi scolpiti nella roccia di Persepolis; ammaliante e inafferrabile come lo sguardo sfuggente di enormi occhi ombrosi che ammiccano dai casti chador monotinta delle pellegrine di Mashhad o dagli sgargianti veli variopinti delle nomadi del sud.
A volerne tracciare un’immagine unitaria si rischia di vederlo sbriciolarsi in un mucchio di sabbia e sale, fustigato com’è dalle mille correnti che ne hanno modellato storia, cultura e identità: la mollezza e l’esaltazione dell’indole araba, l’affabilità e la fierezza della tradizione turca, il misticismo e il disincanto del carattere orientale, e il modello occidentale americanista che ovunque – perfino qui – non lascia scampo.
Non c’è modo di prenderlo e tenerlo insieme, come un panino pieno di falafel, ogni volta che tento di azzannarlo qualcosa mi sfugge di mano. Meglio masticarne un pezzo alla volta…
1 - Bici e azzardi in Iran
Ci sono varie ambiguità nel viaggiare in bicicletta in Iran. Le strade sono in ottime condizioni, ma non per quanto riguarda la viabilità: il prezzo irrisorio dei carburanti e l’estrema economicità del trasporto via terra fanno sì che ovunque si incontri traffico pesante, ossessivo e rumorosissimo. Perfino prendere un’arteria secondaria pensando di evitare il flusso peggiore può rivelarsi un azzardo, perché la circolazione di camion è letteralmente onnipresente e le strade secondarie sono solo più strette e pericolose delle principali.
Voglio però spezzare una lancia in favore degli automobilisti iraniani: è vero, sono tutti pazzi; e sì, guidano secondo regole sconosciute e traiettorie insensate; però sono gli strombazzatori più calorosi e simpatici nei quali ci siamo mai imbattuti. Ogni camion lanciato a folle velocità diventa una mano che ci saluta e ci rassicura di volerci bene; ogni auto che ci taglia la strada è una famiglia che ci rimpinza di dolci, frutta e inutili cianfrusaglie e ci stordisce di inviti a mangiare, dormire, posare per il solito esilarante servizio fotografico; ogni finestrino che si abbassa è una valanga di domande rivolte a noi o agli occupanti delle altre macchine che ci stringono in ogni direzione in un inquietante abbraccio di portiere e sorrisi e traduzioni in simultanea gridate da un finestrino all’altro.
D’altra parte, c’è comunque modo di evitare l’incubo di code di camion delle statali e marmellate di lamiere delle congestionate periferie cittadine. I trasporti pubblici sono molto economici, e, dopo la solita commedia della contrattazione, tutti sono contenti di trasportare la bicicletta in stiva per un po’ di soldi (quanti dipende dalla vostra parlantina e savoir faire). Nelle ferrovie c’è un treno merci apposta per i bagagli – per cui dovrete separarvi dalla vostra bici. È vivamente consigliato pagare l’assicurazione per non trovarvi a spendere i vostri giorni in Iran a cercare introvabili pezzi per riparare la bicicletta, come è successo ai nostri amici neozelandesi.
Noi, da bravi italiani senza programmi, abbiamo pensato all’inizio di poter fare tutto in bici. Dopo aver attraversato la regione dell’Azerbaijan (a nord-ovest dell’Iran) squassata dalla neve per evitare le montagne del Kordestan impossibili da valicare a quelle temperature invernali, abbiamo poi virato a sud con il miraggio della tanto osannata estate del Golfo Persico. Ma al posto di raggiungere l’agognata quiete del deserto, ci siamo ritrovati su un altopiano arido e ventoso dove le uniche strade percorribili sono monotone trappole di camion con motori dell’anteguerra che appestano l’aria dei loro scarichi a carburatore, attraverso un panorama uniforme e desolato senza il miraggio di acqua e cibo per miglia…
Così ci siamo rassegnati a fare l’autostop – con tandem! Come al solito una bella avventura con gli amici camionisti, ma per il ritorno verso nord abbiamo preferito prendere un autobus notturno.
Non abbiamo mai neanche osato portare la bici a Tehran, affidandoci invece all’ospitalità dei warmshower nei dintorni, che hanno custodito il tandem mentre disbrigavamo le pratiche dei visti nella mastodontica capitale iraniana. Abbiamo poi trascorso un mese in compagnia di due cicloturisti iraniani con i quali abbiamo esplorato altre regioni dell’Iran (il Kordestan e la valle dell’Alamut), sempre in autobus con bici al seguito, prima di riprendere la nostra marcia in libertandem verso il Mar Caspio. Per raggiungere il bacino abbiamo pedalato la famigerata strada Karaj-Chalus, che si arrampica gradualmente fino al passo di Kandovan (2863 m s.l.m.) sui monti Elburz per poi ridiscendere fino ai -28 m della depressione caspica attraverso amene valli coperte di foreste cedue. L’itinerario è celebre non solo per i bei panorami, ma soprattutto per il traffico infernale che l’attraversa specialmente nei periodi di festa. La prima volta che l’abbiamo tentato, infatti, in occasione del Capodanno persiano (che coincide con l’inizio della primavera), ci è risultato impossibile anche soltanto imboccare la strada, tante le auto in fila che andavano verso nord.
Dopo circa un mese ci abbiamo riprovato, convinti di chiedere passaggio al primo ingorgo. Invece, un paio di giorni prima un’alluvione aveva fatto franare parti di asfalto, così la strada era chiusa al traffico veicolare e completamente a nostra disposizione per la più memorabile pedalata iraniana del libertandem. Dalla costa del Caspio ci siamo infine diretti a est attraverso i paesaggi diversificati dell’Iran nordorientale: le rigogliose foreste di Mazandaran e del Golestan, i pascoli brulli dell’area turkmena e le steppe desertiche nei dintorni di Mashhad fino al confine con il Turkmenistan.
2 - Come salvarsi da un invito
Perché allora vale tanto la pena andare in Iran? Innanzitutto, è un vero paradiso per i viaggiatori low-cost. Il cibo è economicissimo, semplice muoversi in autostop o con mezzi poco costosi, e ancora più facile trovare sistemazione per la notte: a parte gli inviti a casa che si sprecano, ogni città mette a disposizione delle aree dove le famiglie possono liberamente campeggiare nei weekend (solitamente piattaforme di cemento in parchi pubblici altamente frequentati e illuminati), mentre su ogni via di comunicazione sono presenti numerosissime stazioni della Red Crescent (la Croce Rossa islamica), che offrono volentieri ospitalità ai turisti in transito. Dormire in albergo diventa così assolutamente superfluo, a meno d’ammalarsi di agorafobia e volersi fare una doccia in pace (vedi il seguito).
Ma il vero motivo per scegliere l’Iran come meta di un viaggio è un altro: per gli iraniani. Spiazzanti per la gentilezza a tratti melensa, ma sempre spontanea, per il candore quasi ostentato, per la loro disorientante tendenza a essere immediatamente pronti ad accogliere degli stranieri appena conosciuti con i riguardi che si userebbero con i fratelli e i salamelecchi più adeguati agli aristocratici, ma allo stesso tempo a imprigionare l’ospite con una premura esagerata che sembra dettata da una paura paranoica (di cosa è difficile stabilirlo, delle istituzioni che possono infastidire il turista, della propaganda mediatica anti-islamista che ha contagiato tutti gli occidentali, dei fraintendimenti che la diversità reciproca può generare e degli animali feroci che sembrano aspettare in agguato chiunque sia attirato dalla solitudine e dai luoghi bui.)
Risulta perciò difficile isolarsi in un luogo appartato dove piantare la tenda, e ci si ritrova spesso a dormire con intere famiglie sulle distese di tappeti persiani che tappezzano il pavimento dell’atrio di casa. Dormire…è solo un pio desiderio! Di solito la famiglia si allarga esponenzialmente al nostro arrivo per l’affluenza di mille parenti e amici che vogliono farci foto, provare a ripetizione le uniche stentate frasi di inglese che conoscono o ricambiare il nostro sguardo inebetito con altri altrettanto fissi e sbalorditi.
Si cominciano a mangiare semi per ingannare il tempo, poi dolcetti e frutta che sembrano dover sostituire una cena che forse le donne di casa non ha fatto in tempo a preparare. Puntualmente dopo le dieci comincia a diffondersi un profumo che pare materializzato dalla fame, poi alle ore notturne più improbabili appare la cena. Mentre il cibo che si trova per strada è piuttosto monotono (di solito solo riso e kebab), i pasti preparati dalle mamme iraniane sono sempre indimenticabili. L’immancabile montagna di riso è decorata con cura da colate dorate di zafferano, variegate di strisce purpuree di bacche rosse o luccicanti chicchi di uvetta. Se siete invitati scordatevi un pasto vegetariano: per l’ospite di riguardo c’è sempre carne, arrostita sul momento nel caso dei kebab, o in intingoli di erbe e fagioli, patate e melanzane, sugo e prugne o salse di noci. Come a reiterare antichi rituali beduini, si mangia tutti seduti per terra attorno a una tovaglia stesa sul tappeto, e il pasto dura pochissimo.
La cucina, al contrario di quel che ci si potrebbe aspettare, non è molto speziata. I sapori sembrano seguire equilibri di ricette tramandate dalla tradizione, e sono sempre riconoscibili e lievi: il limone secco, il cumino, le erbe aromatiche consumate fresche a parte, le essenze secche usate per aromatizzare il dough (la bevanda classica di yogurt e acqua) o i fiori che arricchiscono la fragranza del tè che inonda ogni momento dell’ospitalità. Solo dopo l’ennesima tazza di tè la famiglia fingerà di cominciare ad accorgersi dei vostri occhi rossi e teste ciondolanti, e magari vi lascerà appartare nel vostro angolo a sdraiarvi. Sarà difficile che la stanza o la strada dove è stato deciso di farvi dormire al sicuro sia buia e silenziosa, e che qualcuno non entri all’improvviso dalla porta o bussi alla tenda per controllare che dormiate bene o per consigliarvi di spostare la tenda in un luogo più frequentato per essere sotto gli occhi rassicuranti della polizia, del vicinato o dei passanti. È un comportamento piuttosto inspiegabile in un paese così sicuro, dove il tasso di criminalità è ridottissimo e qualsiasi persona si spertica a spergiurare di essere tutta brava gente. Appare ancora più paradossale quando si capisce che l’attività preferita degli iraniani è, per assurdo, proprio il campeggio.
Ogni venerdì o ogni giorno durante il periodo del capodanno persiano (Nowruz), le famiglie devono uscire in massa come per un richiamo irrinunciabile del selvatico tanto amato e tanto temuto, e orde di campeggiatori, attrezzati di tutto punto per allestire sontuosi pic-nic, cucinare all’aperto i soliti kebab e montare ridicole tende dove mettere al riparo i viveri dal sole, si propagano a macchia d’olio in ogni spazio disponibile – a volte ai bordi delle strade, nelle rotonde o sui marciapiedi, per evitare un contatto troppo ravvicinato con il selvaggio e la solitudine che fa paura. La natura è così evocata con affetto e nostalgia, come una condizione perduta che basta sedersi in compagnia all’aperto per ritrovare e celebrare.
Il nostro Nowruz è stato spettacolare: i nostri nuovi ma carissimi amici di warmshower Khosrow e Narges ci hanno accompagnato in Kordestan, dove abbiamo trascorso splendide giornate tra canti, balli e donne sorridenti e spigliate in lunghe vesti sfavillanti che è raro incontrare altrove nel paese. L’area è molto variegata a livello paesaggistico rispetto agli altipiani desertici dell’Iran centrale: qui, infatti, a svettanti picchi innevati si susseguono pascoli verdeggianti punteggiati di sgargianti fioriture e pittoreschi villaggi di pastori intagliati nel tufo, come Oraman e Palangan. È una regione davvero piacevole da visitare in bicicletta, perché il traffico è minore, anche se pedalare è assai più impegnativo per le pendenze a zig-zag che non danno tregua. Anche campeggiare può rivelarsi un’impresa piuttosto ardua, a causa dell’estrema ospitalità della gente kurda, proverbiale anche nel resto del paese.
Aldilà di un quadro generale che potrebbe apparire soffocante, tutte le volte che abbiamo accettato un invito si è rivelata un’esperienza memorabile. Siamo stati ospitati da chiunque: da un veterinario azero che ci ha fatto dormire nel suo laboratorio tra grumi di sangue rappreso, foto di capretti a due teste e un allegro zampettare di topi che facevano capolino dalla tappezzeria scrostata; da gioviali universitari di Urmia con un’inclinazione per la filosofia e simpatici studenti di italiano di Tehran con la passione per il cinema nostrano, che sono diventati i nostri migliori amici; da una coppia di eclettici artisti liberali e anticonformisti che volevano girare un documentario su di noi; da famiglie religiosissime nelle cui case non ho mai tolto il velo (una volta perfino di notte, dato che abbiamo dormito nella stessa stanza). Tutti invariabilmente estremamente curiosi, aperti al confronto e disposti a parlare di religione e di politica. Certo, ogni discorso è filtrato dalla differenza a volte davvero incolmabile, ma basta venirsi incontro per non dare adito a fraintendimenti, e lasciarsi sorprendere dalla diversità senza cercare a tutti i costi di capirla. Per esempio, non ci siamo addentrati a parlare dell’esistenza di dio nella famiglia di ultraortodossi che ci ha ospitato a Esfahan in una notte che, arrivati con il buio, cercavamo un parchetto condominiale dove mettere la tenda.
Erano talmente gentili e contenti di parlare di Maometto e Ali da voler a tutti i costi farsi insegnare il segno della croce (e io che me la ghignavo guardando quel toscanaccio anticlericale di Ale cercare di ricordarsi l’inizio dell’Avemaria). Né abbiamo accennato alle nostre inclinazioni vegetariane o ai nostri dubbi sull’allevamento intensivo al cordiale e generoso Hamed, ovviamente il più grande produttore di polli da batteria dell’Iran settentrionale. Alla sua prima esperienza di couchsurfing, ci ha mostrato entusiasta la sua fattoria e, quando ha saputo che in alcune regioni d’Italia si mangiano le rane, l’abbiamo a stento trattenuto dal fare una strage di rospi. Così non ho fatto una piega quando le vecchissime nonna e zia di una famiglia di Kashan (che ci ha sradicato dal parco dove volevamo dormire in tenda per portarci a casa) sono entrate nella doccia dove cercavo disperatamente di farmi i fatti miei per occuparsi personalmente di insaponarmi la schiena, strapparmi i capelli con il pettine e rasarmi sotto le ascelle con una lametta arrugginita…! Scene da mille e una notte. Poi, dopo avermi avvolto in un chador nero come la notte, mi hanno scortato a un ricevimento dove si festeggiava il ritorno di un pellegrino dalla Mecca: una sala da ballo piena di sole donne scollate e truccatissime che non hanno fatto altro che commentare i miei capelli spettinati e il mio indecente viso acqua e sapone. Le donne iraniane sono a volte un vero mistero, ma quando non mi sono lasciata ingannare dai nasi rifatti, le sopracciglia tatuate e la loro atroce e assurda gelosia, mi si è aperto un mondo complesso e affascinante che avrei voluto avere modo di conoscere più a fondo.
3 - Lasciatevi incantare
Meglio prendersela con calma in Iran. Lasciarsi invitare, condividere tutto, lasciarsi sfottere perché non si hanno figli o trucco sul viso. D’obbligo vedere le perle del sud – gli eleganti monumenti di Esfahan, le maestose rovine di Persepolis e i suggestivi scorci di Yazd. Meglio ancora visitare le zone meno turistiche, e lasciarsi trasportare dalla particolare atmosfera di ogni regione: la mitezza del clima del Golfo Persico in pieno inverno (non aspettatevi spiagge dove fare il bagno); i pascoli fioriti del Turkmenistan iraniano durante la transumanza di pastori e dromedari nel mese di Aprile; le colline costellate di papaveri dell’Azerbaijan (l’area di Tabriz) nella tarda primavera; in estate, i sentieri scoscesi e le vette coronate da castelli e fortezze della valle dell’Alamut; in autunno, i vicoli ocra e i costumi variopinti del villaggio d’argilla di Abyaneh, nella lussureggiante oasi montana della valle del Barz-rud, che taglia come una verde ferita il deserto di polvere e sale di Kashan.
I luoghi che ci siamo più divertiti a esplorare in bicicletta sono stati senza dubbio due: i saliscendi del Kordestan, accesi da distese di prati in fiore, dai riflessi multicolori dei vestiti da festa delle donne kurde e dal ritmo travolgente della musica popolare, soprattutto la spettacolare strada che dal lago di Marivan si inerpica fino ai villaggi di montagna di Oraman e Palangan; e il parco nazionale del Golestan, dove abbiamo finalmente potuto campeggiare protetti dal cullante abbraccio di maestosi alberi, tra il pacifico gorgoglio dei torrenti e il sereno grufolare di orde di indisturbati cinghiali.
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