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Ciclovia del Po: viaggio in bici verso est | seconda tappa
Scritto da Girumin
Parto la mattina da Orio Litta, ieri sono arrivato qua lungo strade asfaltate e sterrate, nell’ultimo tratto sono passato della nuova “Ciclovia della Venere” che va da Livraga a Orio Litta, è un tratto che facilita l’arrivo ad Orio Litta da Nord.
Partenza ritardata
Orio Litta è lungo la Via Francigena e lungo la Ciclovia del Po, una pista ciclabile verso Nord avvicina questi due percorsi a Milano e facilita l’arrivo di pellegrini e ciclisti da Nord.
Come sempre mi accoglie l’Ospitaliero ufficiale, che è anche il Sindaco, sa bene che oramai Orio è il mio punto di partenza per i vari giretti: lungo il Po, lungo la Francigena o la Via degli Abati. L’ostello è in ristrutturazione e lì ospitalità viene offerta in alcune sale del Comune, ma è sempre calorosa e accogliente.
Mi son detto che conviene partire attorno alle nove, per evitare il traffico del mattino, ma oggi è sabato e starò tutto il giorno sull’argine maestro del Po per cui potrei anche partire prima, ma… forse voi non lo sapete… però alzarsi in inverno, con la nebbia e le gambe già provate non è facilissimo… Così prendo la scusa del traffico e parto tardi, poco prima delle nove.
Non so ancora quanto mi pentirò di questa scelta sconsiderata e irresponsabile!!! Ah, se me ne pentirò!!! Mi fermo sotto la Grangia benedettina, ostello ufficiale in ristrutturazione, a scattare due foto sulla rosa dei venti che da la direzione verso Roma. Parto poi verso il mitico argine, è oramai una simbiosi quella che si stabilisce fra me e l’argine nei viaggi in bici lungo la ciclovia del Po.
Nebbia mistica
Qualche centinaio di metri ed ecco la salita all’argine. Alzo gli occhi e vedo davanti a me una cosa incredibile, che mi pento di non aver cercato prima.
La nebbia bassa copre di un fumo bianco tutta la pianura, emergono solo le cime degli alberi (anche i tralicci dell’alta tensione, ma questi sono meno passionali). Sulla sinistra appare un timido sole (non so perché si definisca timido, ma vedo che nei racconti lo definiscono tutti così e quindi lo faccio anch’io). Il timido sole irraggia il fumo bianco sulla pianura.
C’è una luce stupenda, sembra di galleggiare sulle nuvole, qui un fotografo bravo, non come me, impazzirebbe di gioia e comincerebbe a fremere dall’ansia di cambiare obiettivi, filtri e tempi di scatto. Mentre io che son ignorante e materialista mi limito a lasciare la fotocamera su “auto”. Appena possibile dovrò tornare qui all’alba per provare a far foto come uno bravo.
Alle mie spalle Orio Litta, con la sua Villa (Villa Litta) esce pian piano dal fumo grigio come in un concerto dei… (no, non faccio nessun esempio di rocchettaro famoso altrimenti poi qualcuno mi insulta). Buona cosa sarebbe piazzarsi qua con una fotocamera con gli scatti tempificati per riprendere l’uscita del paese dalla nebbia.
Bhè, io vi ho dato una buona idea, adesso vedete voi, sappiate però che sull’argine ci venite a piedi o in bici, altrimenti vi beccate una bella multazza se venite con la macchina. Mi rendo conto che sto perdendo minuti preziosi, ma che Veronica sarà contenta del filmato che posso fare fra le nebbie. Vado verso est, conosco bene la strada e poi non sbaglierebbe neppure un bambino, in questo tratto la strada è stata sistemata, anche se non era messa male, sono stati aggiunti cartelli indicatori e in alcuni tratti vicino a San Rocco al Porto ci sono i parapetti sui due lati. Vado convinto e tranquillo, anche se cerco di non perdere tempo, vorrei scattare qualche foto, ma la giornata sarà lunga e i minuti preziosi. Raggiungo la Via Emilia, seguo la pista ciclabile del Po e ci passo sotto, non ricordo con precisione dove imboccare l’argine, chiedo a un ciclista in arrivo, probabilmente mi coprirà di insulti, perché a un ciclista lanciato e caldo l’idea di fermarsi, anche solo per un istante, non piace molto.
Io chiedo e lui si ferma, conferma che la mia ipotesi è corretta. La mia sensazione è che ci sia una strada più corta che attraversa il centro abitato, ma questa può andare bene. Mi rendo conto che non sono certo in anticipo sulla mia previsione dei tempi, ma sono fiducioso, passo sotto il lungo ponte dell’alta velocità. Arrivo a un punto in cui è stata attrezzata un’area di sosta, non ce ne sono molte lungo il percorso, non ne ricordo.
Sulla ciclovia del Po verso est
Mi auguro che con lo sviluppo della ciclovia del Po crescano aree di sosta e luoghi in cui passare la notte. La giornata si è fatta limpida, le prima nebbie che ricoprivano i prati si sono dissolte. Sto per arrivare nella zona della foce dell’Adda. L’ampia curva verso sud mi farà fare un lungo giro, se scegliessi una strada tradizionale potrei guadagnare tempo, ma a me interessa l’argine. Vado e pedalo, passa il tempo e comincio a pensare che forse non arriverò a Motta Baluffi per il tramonto.
La Goat si comporta bene, io non ho ancora trovato un posto in cui buttare i rifiuti per cui mi sto portano dietro ancora tutto da ieri sera, non ho potuto comprare qualcosa da mangiare, ho incontrato solo un ipermercato, ma non ho voglia di lasciare tutto incustodito e ci vorrebbe del tempo, i miei minuti oggi sono preziosi, molto preziosi. Se incontrassi un negozio lungo il percorso mi fermerei, ma dovrei scendere dall’argine e cercarlo: troppo tempo! Ho ancora qualche formaggino, un po’ di pane, dei mandarini: può bastare.
Arrivo al canale navigabile a metà pomeriggio, devo fare attenzione a non sbagliare niente per non perdere tempo. Chiedo conferme a un signore in bici, vado verso la zona industriale, arrivo a Cremona. So che la pista ciclabile del Po è interrotta, vado dritto verso la città per evitare il problema, chiedo e vado a occhio, arrivo al Po. Da qui sarà facile, basta seguire l’argine. Attraverso il parco che mi tiene troppo vicino al fiume, non aggancio subito l’argine maestro, perdo minuti preziosi. Finalmente raggiungo l’argine, faccio due e stabilisco che arriverò con un’oretta di ritardo. Chiamo l’ostello: «Va bene, ci sentiamo quando è in zona». Il gestore dell’ostello di Motta Baluffi si mostra gentile e disponibile, io mi rilasso. Bisogna provarlo, bisogna provare a camminare al tramonto, sta per arrivare il buio, fa freddo, bisogna arrivare a destinazione: è vero!
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Pedalando nel buio
In viaggio, in cammino o in bici, non fa molto piacere arrivare tardi, soprattutto se qualcuno sta aspettando, se c’è il rischio che il “tardi” diventi “troppo tardi”, se si corre il rischio di muoversi al buio su una strada trafficata. Io so di essere su una strada sicura, so che l’ostello è a pochi metri dalla strada, mi basta seguire l’argine…
La luce si affievolisce e io mi gusto la notte che arriva, il rosso del tramonto. Mi fermo anche a scattare qualche foto senza perdere troppo tempo. Sono su una striscia di asfalto, vedo però che piega verso destra mentre io dovrei andare a sinistra. Torno indietro, giro a destra e arrivo a un incrocio, arriva un’auto: «Se vai a sinistra per duecento metri trovi la strada giusta, ma puoi andare anche di lì!»
Ma… allora ero sulla strada giusta! Poco male, proseguo, questa strada mi piace di più. Incontro qualche bivio, nel tratto lodigiano l’argine è molto alto e le strade che partono dall’argine vanno subito in discesa, si capisce subito se una strada è, o non è, l’argine. Invece in questo tratto le strade che partono dall’argine sono alte come l’argine per cui al buio è difficile capire dove andare.
Accendo la torcia pettorale: la lampadina non si accende, bastano i led. Accendo la frontale che incastro a malapena sul casco. Piego uno stick luminoso: si rompe, ma riesco ad accenderlo lo stesso e fissarlo sull’asta della bandiera. Per un paio di incroci vado a occhio e credo di essere sulla strada giusta, oramai è buoi pesto e quei pochi metri che illumina la torcia frontale non danno molte soddisfazioni. Vorrei vederli adesso quelli che vendono le torce dicendo che tirano 50 metri, 100 metri… poi però se riesci a illuminarti i piedi o la ruota davanti è già un successone!
Arrivo a un crocevia, oramai non so più dove sono, la carta non è così dettagliata da aiutarmi a capire dove mi trovo e cartelli non ce ne sono. Avviso l’ostello:
«Arriverò ancor più tardi…».
«Non si preoccupi!».
Giro a destra e vado diritto per una strada dritta come una fucilata. Incontro un ragazzo davanti a casa:
«Devi tornare all’incrocio e girare a destra, potresti andare avanti di qua, ma sono strade di campagna, ti conviene tornare indietro.»
Provo a insistere, ma lui è più convinto di me. Torno sui miei passi, cioè, sulle mie pedalate. Arrivo all’incrocio, giro a destra, seguo il cartello marrone, costeggio una cascina, “se adesso escono i cani mi sbranano!”.
Non è una mossa molto astuta quella di passare di fianco ad una cascina di notte…
Dove sono?
Non succede nulla, il cartello marrone mi fa girare attorno alla cascina. “Dove sto andando?” Torno indietro, controllo i cartelli marroni, torno indietro ancora, devo prendere una decisione, non posso tentare continuamente la fortuna con i cani. Seguo i cartelli, comincio a pensare che sto girando intorno, arrivo all’incrocio e fermo una macchina, per fortuna l’autista si ferma e mi da l’indicazione giusta.
La zona è fatta di stradine che formano un sacco di rettangoli e uniscono le varie cascine, capire in quale incrocio ti trovi di notte non è facilissimo. Vado avanti ancora un po’ a occhio cercando di capire qualcosa dalla carta, arrivo in paese e chiedo: «Sempre dritto»
Vedo che il gestore dell’ostello mi ha chiamato, lo chiamo per digli che sono vivo, mentre parlo sento un bip al telefono, penso che mi abbiano mandato un messaggio, controllo e vedo che la batteria è praticamente scarica. Speriamo che regga perché non ho certo voglia di smontare adesso tutto il bagaglio per prendere il telefono di scorta.
Accoglienza da pellegrino
Vado ancora per un po’, arrivo a Solarolo Monasterolo. Don Davide è sull’argine ad attendermi, mi scuso per il ritardo, ma dice che non c’è problema. Mi indica dove piazzare la Goat e la camera. L’ostello è la vecchia canonica ristrutturata e adibita a ostello. Ci sono stanze piccole con bagno, sala comune e cucina attrezzata. Don Davide mi chiede se ho il cibo per la cena, ma mi mostra anche cosa posso trovare in frigorifero. Il servizio è decisamente ottimo.
Pur non essendo su una via di pellegrinaggio offre sia un servizio molto confortevole, sia l’accoglienza tipica dei più tradizionali ostelli per pellegrini in cui si trova un posto comodo per la notte, ma anche un luogo in cui stare seduti attorno a un tavolo ed eventualmente cucinarsi qualcosa in proprio. Aggiungo anche che essendo a pochi metri dalla ciclovia del Po è un ottimo posto tappa per chi pedala lungo il fiume. La giornata è stata lunga, la stima giornaliera dei chilometri si è mostrata ambiziosa, devo sicuramente ridimensionarla, ma non è facile, i posti in cui passare la notte, non coincidono purtroppo con le mie stime ideali.
Di seguito potete leggere la tappa precedente del viaggio lungo la ciclovia del Po in inverno
Girumin ha fatto innumerevoli viaggi in bici e, tra di essi, ultimamente ci ha raccontato il suo viaggio con il Velocipede Tradizionale Tipico Essenziale e quello con la Goat sulla via Francigena.
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Girumin
La mia voglia di camminare parte dall’esigenza di vivere il rapporto con la natura. Ho avuto la fortuna di camminare su lunghi percorsi e di viaggiare in diversi paesi, anche meno conosciuti dal turismo tradizionale e ho vissuto alcune esperienze internazionali.
Sono forse stato inesorabilmente spinto dall’istinto naturale che porta a muoversi, a esplorare e a conoscere. Attratto dal bisogno di esserci in prima persona, di arrivare da qualche parte con le mie gambe. Qualche volta ho cercato di giocare con idee meno consuete e magari non sempre garantite.
Penso che il viaggio non sia solo andare lontano geograficamente, ma sia l’occasione per provare ad affrontare le cose in maniera diversa. Spesso per trovare il nuovo basta guardare le cose da un altro punto di vista.
Apprezzo la tecnologia più recente, ma anche le tecniche tradizionali e credo più nella voglia di fare che nella strumentazione più sofisticata.
Partendo da questa idea mi piace preparare un viaggio anche con le mani, per i lunghi cammini ho realizzato dei carrelli per portare il bagaglio e ho fatto qualche giretto con una Graziella e un carrello, ho poi sistemato una vecchia bici da uomo e ho costruito un altro carrello. Cerco idee nuove, ma esploro tecniche del passato come i bastoni di legno.
Nel corso del tempo ho raccolto molti appunti su equipaggiamento, abbigliamento, abitudini, tecniche ed esperienze varie che ho inserito in un libro scritto per la casa editrice “Terre di mezzo”.
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Tutte le bici elettriche necessiterebbero comunque di una regolamentazione per l'uso in montagna , visto che la continua evoluzione le porta ad assomigliare a moto da fuoristrada piu che biciclette.
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