Duemila riel sono bloccati a terra da una piccola pietra sistemata sull'asfalto; i giocatori troneggiano all'orizzonte come toreri pronti ad entrare nell'arena: si studiano, si stuzzicano, si osservano nell'attesa che il primo scenda in postazione. Uno dei tre si fà avanti lentamente, le gocce di sudore che gli colano lungo il viso...e si toglie un'infradito che aveva ai piedi lanciandola in direzione delle banconote: bersaglio mancato, sotto al secondo e poi al terzo. Il sasso è ancora al suo posto e così i giovani squattrinati si avvicinano finchè uno non lo colpisce. Tra grasse risate, il vincitore raccoglie il bottino e si ricomincia.
Siamo seduti a goderci lo spettacolo di questi ragazzi, probabilmente disoccupati, che giocano tra il traffico di una strada secondaria della
cittadina di Stung Treng. Attendiamo una barca proveniente dall'altra sponda che ci faccia
attraversare il Mekong, trasportandoci alle porte della giungla più selvaggia ed isolata. La barca ed il suo timoniere giungono dopo mezz'ora ma scopriamo che la sua destinazione non è quella che ci aspettavamo e così lasciamo i
tiratori di ciabatte a disputarsi mezzo dollaro, andando in cerca del punto d'imbarco corretto che scopriamo essere di fronte alla
Riverside guesthouse dove abbiamo trascorso la notte.
In attesa che il traghetto venga svuotato del suo carico di rape, ci gustiamo il
panorama sul fiume che ci ha accompagnato per lungo tempo e che oggi abbandoneremo. Il viaggio in battello che parte da
Stung Treng è già un'avventura:
stipati tra decine di motorini ed affiancati a numerose massaie venute al mercato mattutino della città per fare spese, assistiamo ad una manovra a dir poco azzardata. Il giovane che alle nostre spalle controlla il mezzo (e che fino a poco prima era indaffarato a svuotare la chiglia da dieci centimetri d'acqua con una pompa ed un tubo infilato sotto il pavimento) si dirige rapido e deciso verso una barca della stessa taglia proveniente in senso opposto... la collisione sembra ormai inevitabile quando entrambe rallentano fino a fermarsi
a pochi centimetri l'una dall'altra: a prua una donna salta dall'altra imbarcazione sulla nostra e subito i due natanti riprendono le loro rotte.
Capiamo l'azzardo solo quando la misteriosa passeggera si presenta chiedendoci
i soldi del biglietto: cosa non si fà per risparmiare sul personale!
Thalla è un piccolo villaggio punto di partenza del nostro percorso verso il nulla. La polvere già si insinua nei nostri polmoni ed è sufficiente percorrere un paio di chilometri per essere i soli nel silenzio animato della foresta. La strada rossa è ampia e ben battuta, quasi esclusivamente a nostra disposizione; sull'enorme carreggiata ogni tanto passa un motorino ed il pilota ci guarda esterrefatto.
Suoni di uccelli misteriosi giungono alle nostre orecchie dal profondo della boscaglia, impenetrabile più a causa delle
migliaia di mine presenti ancora sul terreno che non per la densità della vegetazione. Sono passati venti chilometri e tre motorini quando un bivio ci coglie di sorpresa e decidiamo di fare una sosta nella speranza che passi qualcuno. Abbiamo l'onore di vedere un'
upupa posarsi su un ramo poco distante ma nessun essere umano ad indicarci la retta via. Teniamo la destra, ma fortunatamente un trattore in lontananza si avvicina e noi ci appostiamo sulla traiettoria onde evitare di lasciarcelo sfuggire: com'è logico che sia, la strada da noi scelta è quella sbagliata e siamo costretti a girarci per imboccare il percorso corretto che si fà stretto e vallonato. Un
villaggio spunta all'improvviso nel nulla più assoluto e muore poche centinaia di metri più avanti così com'era iniziato. Sui volti degli abitanti il mento scende incontrollato lasciando le loro bocche spalancate al nostro passaggio. Il tracciato ondulato ed il sole a picco ci fiaccano mentre sabbia e polvere esplorano ogni singolo angolo del nostro viso. Gli occhi ci si infiammano a causa della cenere e del fumo proveniente dalla sterpaglia bruciata per creare
pascolo per le vacche. Il panorama è desolante,
tronchi neri si ergono a morti custodi di una foresta che nulla può contro l'ignoranza umana.
Chep è un avamposto senza alcun servizio per i viaggiatori e solo chiedendo qua e là troviamo una famiglia disposta ad ospitarci per qualche dollaro. La
doccia consiste in un'enorme giara stracolma da cui attingere con un pentolino l'acqua che ci si versa addosso all'aria aperta, rinfrescandosi. Cuciniamo un piatto di riso e ci corichiamo su un letto di una tipica casa khmer aperta al cielo stellato su due lati.
Un frastuono indescrivibile di galli e galline ci sveglia verso le cinque e trenta ed un'ora più tardi, quando siamo pronti a ripartire, il nostro oste ci blocca invitandoci a sedere e mangiare un'abbondante
ciotola di riso con del pesce fritto che ha cucinato appositamente per noi. Commossi ci sediamo e divoriamo tutto ringraziando di cuore. Non appena saltiamo in bici
decine di pappagalli verdi ci sorvolano ed ogni cinque minuti siamo fermi per fotografare qualche rapace. La strada, sempre
rosso sangue, torna a farsi larga ed il traffico aumenta leggermente: ora si vede qualche sporadica auto.
Poco prima di entrare nella cittadina di
Tbeng Mencheay un lampo azzurro attira la nostra attenzione: un
martin pescatore comune riposa su un ramo e noi lo veniamo a trovare poco prima del tramonto dopo aver scaricato i bagagli in città.
Falliamo il tentativo di trovare un'escursione di
birdwatching economica nella riserva di
Tmatboey per ammirare gli ibis (gigante e spallebianche) e spostiamo le nostre attenzioni sull'
antica capitale khmer immersa nella giungla cambogiana. Dopo una giornata a pedali di nuovo sull'asfalto, trascorriamo un po' di ore fra
le rovine di Koh Ker dove picchi e gruccioni conquistano il nostro interesse come la piramide ed i templi nascosti.
Il nostro ritorno alla civiltà nella più turistica e convulsa delle città cambogiane:
Siem Reap è un piccolo agglomerato congestionato da occidentali giunti fin qui per ammirare
il tempio di Angkor Wat e la città di Angkor Thom, distanti solo una decina di chilometri.
Questo articolo fa parte del diario di viaggio tenuto in diretta riguardante il progetto Downwind. Se volete leggere le altre puntate, ecco qui tutti gli articoli dei nostri dieci mesi in bicicletta nel sud est asiatico
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Tutte le bici elettriche necessiterebbero comunque di una regolamentazione per l'uso in montagna , visto che la continua evoluzione le porta ad assomigliare a moto da fuoristrada piu che biciclette.