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Di qui passò Francesco: da Gubbio a Valfabbrica
Scritto da Girumin
Destra, sinistra, destra, è molto semplice riprendere il cammino Di qui passò Francesco quando si esce dall’oratorio di Madonna del Prato.
Da Gubbio inizia il sentiero francescano della Pace, convive anch’esso con i vari percorsi che conducono ad Assisi. Noi continuiamo a seguire i Tau gialli. Dopo Gubbio si può scegliere se proseguire in direzione di Biscina oppure di Valfabbrica... noi scegliamo di andare a Valfabbrica. Prendiamo questa decisione perchè a Biscina, in questo periodo dell'anno, non ci sono posti in cui passare la notte e restare all'aperto, su una panchina non è consigliato. Avremmo comunque puntato verso Valfabbrica per ridurre al minimo la percorrenza verso Assisi l’ultimo giorno.
Ricordi di... maremmani!
Il primo tratto fino a Ponte d’Assi è dritto, drittissimo; poco dopo si svolta verso sinistra lungo la stradina che si mantiene in quota per poi scendere leggermente. Siamo in Cammino da po’ di tempo sullo sterrato quando vediamo sulla sinistra un gregge ben curato da un paio di cani maremmani.
“Ecco dove sono!” Penso subito. Ricordavo un tratto in cui i maremmani in precedenza mi avevano “salutato” con la loro tipica vivacità e la mia grande strizza… Stavolta i cani stanno accucciati e tranquilli ben lontano da noi, speriamo restino là, ma esorto i compagni di strada ad andare più veloci: «Acceleriamo il passo!». I quadrupedi rimangono indifferenti al loro posto, ma noi stiamo ancor più tranquilli se fra noi e loro resta quel bel centinaio di metri. La prima regola della sicurezza è sempre la distanza, vale per ogni cosa. «Se qui c’è il gregge più avanti c’è una casa con un maremmano!» Se i maremmani del gregge, durante lo scorso cammino, mi avevano salutato con grande vivacità, il quadrupede della casa mi aveva salutato con molta, ma molta enfasi. Era andato tutto bene, ma sui certi cammini le mutande di ricambio possono servire anche a metà giornata quando si fanno certi incontri.
Camminando in un mare di fango
Arriviamo a San Pietro in Vigneto dove possiamo scegliere itinerari diversi. Per puntare verso Valfabbrica senza toccare Biscina decidiamo di scendere verso il lago costeggiandolo sulla riva destra. Ho un ricordo nitido della quantità di fango e pozzanghere lungo la strada. Chi ha le ghette con le cerniere incastrate storce il naso all’idea di rimetterle e chiede se davvero deve farlo. Per fortuna le cerniere si sono incastrate da chiuse e non da aperte, basta quindi infilarle togliendo gli scarponi affinché facciano il loro lavoro. Se non è migliorata la situazione fanghiglia in questo tratto converrebbe quasi aver gli stivali più che gli scarponi, in realtà spero che gli scarponi siano abbastanza anche se in alcuni punti fango e pozzanghere sono veramente profondi. Bisogna dire però che gli scarponi hanno suole robuste e artigliate, mentre gli stivali proteggono meglio nelle acque più profonde, ma le suole sono più scivolose. Le previsioni erano esatte, la nostra strada è un lungo fiume di fango: viscido, profondo e molto scivoloso. A ogni passo cerchiamo il punto in cui affondare meno, prima di ogni passo bisogna puntare bene i bastoni e il piede che starà fermo. Non si può certo definire un tratto facile, ogni tanto il piede affonda più di quanto vorremmo e speriamo di non finire con i piedi in ammollo. Ogni passo è faticoso, ogni passo è una sfida, ogni passo è poi alla fine una conquista. Si va avanti così per un bel po'. Ad un bivio, il sentierino sulla destra ci riporta in quota e raggiungiamo l’asfalto, è un momento di sollievo per le nostre gambe, non dovranno più affondare nel fango mobile.
Il lago di Valfabbrica
Camminiamo lungo la Valle del lago. Quale lago? Il lago di Valfabbrica. Se si arriva lungo la strada che scende da nord non si capisce subito di cosa si tratta, dopo aver visto una grossa macchia azzurra sulla carta geografica ci si aspetta di vedere un lago vero. Quando si arriva in vista della diga si capisce qualcosa di più, si capisce che veramente era previsto un lago, che il lago sulla carta probabilmente doveva essere ben più esteso di quanto sia in realtà. Di fatto però si vede che sul fondo del lago c’è addirittura una strada, si resta perplessi. Che dire? Forse lascia perplessi gli stranieri che non capiscono come mai sia stata realizzata una diga così grande in unn'area che magari non avrà mai acqua a sufficienza per riempire la valle. Forse gli stranieri restano perplessi, ma gli italiani non ci fanno più caso alle opere mastodontiche di cui non si capisce il senso.
Ci sarebbe una deviazione verso sinistra, verso il lago, verso un’altra strada come quella fangosa e viscida… Proseguiamo diritti! Alle quattro del pomeriggio siamo vicini a Sambuco, come la pianta.
Possiamo decidere se continuare lungo la strada asfaltata che punta direttamente verso la diga, oppure prendere una variante che i cartelli indicano sulla destra. Ci fermiamo a riflettere: la strada asfaltata sicura e veloce oppure l’alternativa che potrebbe riservare qualche sorpresa?
È un momento classico questo, il momento fra la sicurezza facile e l’avventura difficile, fra la garanzia di non sbagliare e il buio dell’incognita.
La carta mostra qualche strada e ipotizzo di seguire quella. In passato, su questo tratto, ho evitato di seguire strade alternative, sono sempre stato sulla strada asfaltata andando verso la diga. Saliamo quindi lungo lo sterrato, al primo incrocio giriamo a sinistra, la mulattiera sale e arriva al punto massimo sullo spartiacque. Quando finisce la mulattiera, incrociamo una strada sterrata messa meglio. Giriamo verso destra, vediamo che a sinistra c’è una strada: «Non dobbiamo andare verso quella strada, sicuramente andiamo verso di qua e poi ci sarà una strada a destra». Invece la strada va a sinistra, strano, vuol dire che più avanti la strada andrà a destra e invece non succede così! «Secondo me Valfabbrica è dietro la collina».
Ma la strada prosegue e noi andiamo in direzione opposta. «Probabilmente ci fa scendere e poi ci farà piegare a destra.». Scendiamo e risaliamo, il cartello dice di andare a sinistra… Non capisco… I cartelli metallici ci confermano di essere su un percorso segnato e tabellato, non ci stiamo inventando un nuovo Cammino. Prima pensavo di avere Valfabbrica davanti a me, dietro la collina. Poi, girando a sinistra, pensavo che fosse a destra. Poi abbiamo girato ancora a sinistra e ora sono convinto che Valfabbrica sia alle nostre spalle. La discesa prosegue e la sensazione di tornare indietro riceve sempre più conferme, la sensazione è di tornare vicini al punto in cui abbiamo lasciato la strada. Scendiamo ancora e arriviamo all’asfalto davanti alla diga, invece di stare in piano sulla strada abbiamo percorso un tracciato che ci ha fatto percorrere quasi il doppio dei chilometri salendo e scendendo di quota.
Lentamente verso l'ostello...
Arrivati alla diga ci ricongiungiamo con la strada conosciuta e ci dirigiamo verso Valfabbrica. La signora Annarita, che gestisce l’ostello, ci accoglie sorridendo, ma quando vede lo stato di ghette e scarponi ci prega di lasciarli fuori. La quantità di fango che ci portiamo addosso è ancora notevole. «Sistematevi nelle camere 1 e 3». Ci dice. Potrebbe farci mettere in quattro nella stessa camera da quattro, in una sola camera sporcheremmo di meno, ma ci offre due camere. L’ospitalità è fatta anche di piccole sensibilità e chi arriva stanco dopo una giornata di cammino apprezza molto le piccole cose, si potrebbe parlare a lungo di queste cose sia in positivo sia in negativo. «A che ora volete cenare?» «Ci dica lei» «Quando volete. Fate pure la doccia con calma e quando volete potete cenare.» L’ultima doccia del cammino e ci mettiamo a tavola. «Vi ho preparato un antipasto e un minestrone, mi avete detto che vi piace il minestrone.» «Noi siamo dei fans del minestrone!». «Se volete altri affettati ditemelo, però poi ci sono altre cose.» Primo giro di minestrone. «Vi lascio qua la pentola». Dopo il secondo giro di minestrone arriva la carne. «Scusi… arriva altra gente?» «No, ci siete solo voi.». «Ma, non ce la faremo mai a mangiare tutto!» Ci impegniamo, sarebbe veramente un peccato avanzare qualcosa, ma nonostante il nostro impegno non riusciamo a finire tutte le pietanze. Annarita ci racconta l’esperienza dell’ostello. Ora è gestito da una cooperativa sociale per la quale lei ha lavorato nell’ostello nell’ultimo anno. «Avete un po’ di spazio per il dolce?» Bella domanda, abbiamo combattuto contro le leggi della fisica per farci stare tutto, ma lo spazio per un dolcetto dobbiamo trovarlo. Che sforzo… Come tutte le sere dopo cena diamo un’occhiata alla tappa del giorno dopo, sarà una tappa breve, ma non possiamo permetterci errori.
Se vi siete persi la quinta tappa del Cammino Di qui passò Francesco percorso da Girumin e dai suoi amici, da Pietralunga a Gubbio, potete aggiornarvi leggendola qui!
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Girumin
La mia voglia di camminare parte dall’esigenza di vivere il rapporto con la natura. Ho avuto la fortuna di camminare su lunghi percorsi e di viaggiare in diversi paesi, anche meno conosciuti dal turismo tradizionale e ho vissuto alcune esperienze internazionali.
Sono forse stato inesorabilmente spinto dall’istinto naturale che porta a muoversi, a esplorare e a conoscere. Attratto dal bisogno di esserci in prima persona, di arrivare da qualche parte con le mie gambe. Qualche volta ho cercato di giocare con idee meno consuete e magari non sempre garantite.
Penso che il viaggio non sia solo andare lontano geograficamente, ma sia l’occasione per provare ad affrontare le cose in maniera diversa. Spesso per trovare il nuovo basta guardare le cose da un altro punto di vista.
Apprezzo la tecnologia più recente, ma anche le tecniche tradizionali e credo più nella voglia di fare che nella strumentazione più sofisticata.
Partendo da questa idea mi piace preparare un viaggio anche con le mani, per i lunghi cammini ho realizzato dei carrelli per portare il bagaglio e ho fatto qualche giretto con una Graziella e un carrello, ho poi sistemato una vecchia bici da uomo e ho costruito un altro carrello. Cerco idee nuove, ma esploro tecniche del passato come i bastoni di legno.
Nel corso del tempo ho raccolto molti appunti su equipaggiamento, abbigliamento, abitudini, tecniche ed esperienze varie che ho inserito in un libro scritto per la casa editrice “Terre di mezzo”.
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Oggi con una ebike si possono fare dei percorsi impegnativi fisicamente (per una bici senza motore) ma per quanto riguarda la tecnica non tutti possono fare dei giri tecnicamente difficili.
Io, con i miei 67 anni, cerco giri fino a 1500 m di dislivello, ma non troppo difficili tecnicamente per potermi gustare pienamente i paesaggi e i posti, senza dover rischiare su single trail esposti.
Grazie Enrico