
Godimundi
Il concetto di frontiera è un’idea superata per il viaggiatore postmoderno preso tra check-in e duty-free, che lo considera al di più una linea immaginaria e arbitraria dove si coagulano problemi legati a equilibri politici e identità nazionali. Viaggiando via terra, invece, soprattutto con un mezzo lento e penetrante come la bicicletta, la frontiera riacquista spessore e concretezza, diventa di nuovo un luogo vero e proprio, prima ancora che un’idea.
Attraversare un confine in bici non è affatto un atto immaginario, comporta sempre un’emozione, rinnova ogni volta il piacere della scoperta, schiude un senso di briosa aspettativa. Non solo perché impone l’attesa del disbrigo delle formalità burocratiche e realizza l’impatto con un’altra umanità nella forma del doganiere o del pendolare di frontiera, in cui già si intravede il nuovo tipo umano che ci aspetta aldilà della sbarra. Il confine è reale anche perché spesso segnato da una barriera geografica che bisogna attraversare a colpi di pedale, che sia un passo di montagna o un fiume.
Quando riuscirò a digerire questa lunga parentesi mediorientale che è stato l’Iran? Tre mesi in un solo paese! Possono sembrare un tempo interminabile in un viaggio in bicicletta intorno al mondo ma, in fondo, sono appena bastati per imparare a rispondere ai primi saluti in farsi; per fare il callo all’implacabile ospitalità del popolo iraniano; per disabituarsi a tendere la mano a qualcuno del sesso opposto e assuefarsi invece a tenerla aperta sul cuore.
«E fu così che i nostri eroi ripartirono di buon ora dalla fattoria che li aveva ospitati per più di un mese. Era il 31 dicembre, e un vento gelido soffiava da est…indovinate in che direzione pedalavano i due?!? Con le estremità congelate, a testa bassa e senza spiccicare parola- insomma incazzati neri- si aggrappavano al tandem contro le sferzate d’aria siberiana che spiravano dall’altopiano anatolico. Ci misero tutto il giorno a percorrere i 30 km che li separavano dalla prima cittadina. Fortuna volle che, mentre cercavano un posto riparato dal vento dove montare la tenda dietro una moschea, un uomo impietosito li raccattò dalla strada per invitarli da lui. Era il guardiano di un complesso residenziale e abitava in un bilocale vuoto senza riscaldamento. I ciclisti stremati si infilarono nel sacco a pelo alle 7, e allo scoccare dell’anno nuovo dormivano profondamente sognando di spiagge tropicali…»
Sì, il viaggio è anche questo, passare il Capodanno pedalando contro vento! Ma la Turchia è perfetta per viaggiare, anche con il maltempo incombente e il malumore galoppante.
Per noi la Turchia è un pezzo di cuore. Vi abbiamo trascorso un anno con lo SVE (Servizio Volontario europeo), durante il quale abbiamo lavorato in un eco-villaggio e abbiamo viaggiato in lungo e largo per il paese alla ricerca di tradizioni locali da documentare per conto dell’associazione ambientalista turca Buğday. Arrivare in Turchia in bicicletta è stato il coronamento di un sogno accarezzato per più di un anno.