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Godimundi

Godimundi

Siamo Alessandro e Stefania, godimundi per istinto, viaggiatori per vocazione, nomadi per scelta e necessità. Da sempre sogniamo di intraprendere questo viaggio in bici intorno al mondo, non solo perché sentiamo nel sangue il richiamo della strada e l’entusiasmo di conoscere la nostra vasta terra e la multiforme umanità che la abita, ma soprattutto per concretizzare e mettere a frutto la nostra passione per la natura e il nostro interesse per le tematiche ambientaliste
URL del sito web: http://godimundi.blogspot.it
Ho sempre desiderato viaggiare il mondo. Nel corso del tempo, ho accumulato un immaginario di luoghi mitici che mi piacerebbe visitare prima o poi: l’Etiopia, l’India, la Polinesia, il Perù; Timbuctu, Petra, Damasco, Sana’a. Ma l’Uzbekistan? Ecco un paese che non era mai entrato nel mio orizzonte prima di sapere che l’avremmo attraversato in bicicletta lungo il nostro itinerario verso la Cina.
Anche dopo averlo saputo, a dire il vero, è rimasto un punto interrogativo stampato sulla mappa, tra l’immenso deserto turkmeno da dribblare in 5 giorni e le serrate montagne del Kyrgyzstan a est, un’appannata nebulosa con un solo punto focale: la leggendaria città di Samarcanda, l’emblema stesso del mito occidentale delle “Mille e una notte”, il cui solo nome basta a rievocare i colori screziati di sfarzose carovane, i sensuali aromi di spezie sconosciute, i profili arabeggianti di cupole dorate.
La via della seta è un itinerario leggendario che affascina da secoli il viaggiatore lento. Permette infatti di percorrere via terra – partendo direttamente da casa, la vecchia Europa – un intero continente, e giungere fino al lembo opposto della stessa zolla emersa – l’Estremo Oriente – attraversando una varietà di paesi e popoli dalla lunga storia sugli epici percorsi solcati da generazioni di esploratori, ambasciatori, mercanti e avventurieri.
Il dente dolente – ahimè ce n’è sempre uno – è la questione dei visti, che è meglio affrontare con un po’ di preparazione per evitare di perdere pazienza, tempo e denaro. Ecco allora una breve guida per aiutare i viaggiatori italiani a districarsi nella giungla dei visti necessari sulla via della seta.

Il concetto di frontiera è un’idea superata per il viaggiatore postmoderno preso tra check-in e duty-free, che lo considera al di più una linea immaginaria e arbitraria dove si coagulano problemi legati a equilibri politici e identità nazionali. Viaggiando via terra, invece, soprattutto con un mezzo lento e penetrante come la bicicletta, la frontiera riacquista spessore e concretezza, diventa di nuovo un luogo vero e proprio, prima ancora che un’idea.

Attraversare un confine in bici non è affatto un atto immaginario, comporta sempre un’emozione, rinnova ogni volta il piacere della scoperta, schiude un senso di briosa aspettativa. Non solo perché impone l’attesa del disbrigo delle formalità burocratiche e realizza l’impatto con un’altra umanità nella forma del doganiere o del pendolare di frontiera, in cui già si intravede il nuovo tipo umano che ci aspetta aldilà della sbarra. Il confine è reale anche perché spesso segnato da una barriera geografica che bisogna attraversare a colpi di pedale, che sia un passo di montagna o un fiume.

Quando riuscirò a digerire questa lunga parentesi mediorientale che è stato l’Iran? Tre mesi in un solo paese! Possono sembrare un tempo interminabile in un viaggio in bicicletta intorno al mondo ma, in fondo, sono appena bastati per imparare a rispondere ai primi saluti in farsi; per fare il callo all’implacabile ospitalità del popolo iraniano; per disabituarsi a tendere la mano a qualcuno del sesso opposto e assuefarsi invece a tenerla aperta sul cuore.

«E fu così che i nostri eroi ripartirono di buon ora dalla fattoria che li aveva ospitati per più di un mese. Era il 31 dicembre, e un vento gelido soffiava da est…indovinate in che direzione pedalavano i due?!? Con le estremità congelate, a testa bassa e senza spiccicare parola- insomma incazzati neri- si aggrappavano al tandem contro le sferzate d’aria siberiana che spiravano dall’altopiano anatolico. Ci misero tutto il giorno a percorrere i 30 km che li separavano dalla prima cittadina. Fortuna volle che, mentre cercavano un posto riparato dal vento dove montare la tenda dietro una moschea, un uomo impietosito li raccattò dalla strada per invitarli da lui. Era il guardiano di un complesso residenziale e abitava in un bilocale vuoto senza riscaldamento. I ciclisti stremati si infilarono nel sacco a pelo alle 7, e allo scoccare dell’anno nuovo dormivano profondamente sognando di spiagge tropicali…»

Sì, il viaggio è anche questo, passare il Capodanno pedalando contro vento! Ma la Turchia è perfetta per viaggiare, anche con il maltempo incombente e il malumore galoppante.

Per noi la Turchia è un pezzo di cuore. Vi abbiamo trascorso un anno con lo SVE (Servizio Volontario europeo), durante il quale abbiamo lavorato in un eco-villaggio e abbiamo viaggiato in lungo e largo per il paese alla ricerca di tradizioni locali da documentare per conto dell’associazione ambientalista turca Buğday. Arrivare in Turchia in bicicletta è stato il coronamento di un sogno accarezzato per più di un anno.

 
Chi compie lunghi viaggi in bicicletta ce lo potrà forse confermare: quanto un luogo vi affascini, vi entusiasmi e vi emozioni dipende in gran parte dall’umore con cui lo attraversate, dal tempo in cui vi imbattete e dalle occasioni fortuite che vi riserva. Ecco perché per i ciclo-viaggiatori – anzi, meglio non generalizzare, diciamo piuttosto per noi due girovaghi godimundi – sono tre gli aspetti fondamentali che influenzano ogni singola giornata e determinano la buona riuscita del viaggio:
mangiare bene e dormire anche meglio (per mantenere l’umore alto); controllare quasi ossessivamente le previsioni meteorologiche (per evitare il più possibile di bagnarci); seguire ogni cartello che ci ispira e fermarsi a chiacchierare con chiunque si dimostri incuriosito dal nostro tandem (per non perdere le chance che la strada tiene in serbo per noi)
Esistono dei luoghi leggendari per i ciclo-viaggiatori, luoghi che si tramandano come tradizione nei racconti degli avventurieri a due ruote, luoghi da dove ogni giro del mondo in bicicletta deve prima o poi passare: penso alla Carretera Austral, alla Pamir Highway o alle Dolomiti Italiane. Il lago di Ohrid dovrebbe senz’altro essere annoverato tra questi luoghi. Non soltanto perché insieme ai laghi di Prespa costituisce un’eccezionale riserva transfrontaliera al confine tra tre stati (Albania, Macedonia e Grecia), perché rappresenta uno straordinario sito naturalistico e culturale eletto a patrimonio dell’UNESCO o perché sulle sue sponde si è intessuta una fitta trama di destini che ne ha disseminato i panorami di santuari ortodossi e minareti ottomani.
Le eteree dita rosate dell’alba imperlano la tenda di gocce di sole.
Siamo già svegli ed eccitati, oggi è un giorno speciale: per la prima volta vedremo con i nostri occhi il volto adombrato di fascino e mistero dell’Albania. Fantastichiamo su questo incontro ormai da mesi, pieni d’aspettative, emozione e turbamento. Ad Alessandro rievoca il sapore agrodolce delle scorribande dell’adolescenza nei sobborghi di Prato con gli amici albanesi; a me suscita il desiderio di ritrovare e raccogliere un po’ di quel “sangue nostro sparso” – così si definiscono le comunità arbëreshë d’Italia – di cui condivido qualche goccia anch’io.
Impieghiamo soltanto tre giorni per attraversare il Montenegro in bicicletta, ma in queste folgoranti 72 ore in libertandem può dirsi racchiusa tutta l’essenza di un viaggio in bicicletta. Perché se viaggiare è scoperta, avventura e incontro, la bicicletta è il viaggio elevato al quadrato.
È addentrarsi in una terra sconosciuta in punta di piedi per annusare i suoi fiori più belli senza sgualcirne i petali delicati.
È conquistarsi a colpi di pedale panorami mozzafiato intravisti tra il sudore e la fatica di una lenta risalita o tra il vento e i moscerini di una discesa adrenalinica.
È trovare amici di bici, compagni di strada, maestri di vita con cui condividere un pezzo di cammino.

               

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